Autobiografia di Santa Gemma Galgani in Italiano


(Il webmaster desidero ringraziare il Postulazione Generale dei Passionisti che ha dato il permesso per l'autobiografia di Santa Gemma a essere pubblicati su questo sito web. Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.)
AUTOBIOGRAFIA

AL BABBO MIO CHE LO BRUCI SUBITO (1)
BABBO MIO,

Stia a sentire: io avevo proprio nell'idea di fare la mia confessione generale dei peccati senza aggiungerci altro, ma l'Angelo Suo mi ha rimproverato, dicendomi che obbedisca e faccia come un compendio di tutto ciò che mi è accaduto nella vita, buono e cattivo.

Quanta fatica, babbo mio, a obbedire a questa cosa! Però, badi bene: Lei lo legga e rilegga pure quanto vuole, ma nessuno altro fuori che Lei, e poi lo bruci subito. Ha capito?

L'Angelo mi ha promesso di aiutarmi e farmi venire in mente ogni cosa; perché, glielo dico chiaro, ho anche pianto, perché questa cosa non la volevo fare: mi sgomentavo a farmi tornare in mente tutto, ma l'Angelo mi ha assicurato di aiutarmi.

E poi penso anche, babbo mio: quando Lei avrà letto questo scritto e avrà sentito i peccati, s'arrabbierà e non vorrà essere più babbo mio; allora sì... Ma vorrà essere sempre, spero. Si prepari dunque a sentirne di ogni specie e peccati di ogni genere.

E Lei, babbo mio, approva ciò che l'Angelo mi ha detto, di parlare di tutta la vita? E' un ordine suo, e poi ciò che mi dice l'Angelo, mi accorgo che sono cose che il babbo mio l'ha già nella mente e nel cuore. Scrivendo tutto, bene e male, potrà capire meglio come io sia stata cattiva e gli altri tutti buoni con me; quanto mi sia mostrata ingrata verso Gesù, e quanto non abbia voluto ascoltare buoni consigli dai genitori e dalle maestre.

Eccomi all'opera, babbo mio. Viva Gesù!

PRIMI RICORDI. — LA MAMMA.

Per la prima cosa mi ricordo che la mamma mia, quando ero piccina (sotto ai 7 anni), era solita spesso prendermi in braccio, e più volte, nel farlo, piangeva e mi ripeteva: «Ho pregato tanto, affinché Gesù mi dasse una bimba; mi ha consolata, è vero, ma assai tardi. Io sono malata — mi ripeteva — e dovrò morire, ti dovrò lasciare; o se potessi condurti con me! verresti?».

Io capivo ben poco e piangevo, perché vedevo pianger la mamma. «E dove si anderebbe?» gli chiedevo. «In Paradiso, con Gesù, cogli Angeli...».

Fu la mamma mia, babbo mio, che cominciò da piccina a farmi desiderare il Paradiso, e se ancora lo desidero e ci voglio andare, ho delle belle gridate, e un bel no mi sento rispondere (2).

Alla mamma gli rispondevo di sì, e mi ricordo che dopo avermi ripetuto per assai volte queste solite cose, cioè di condurmi in Paradiso, io non volevo mai staccarmi da lei, non uscivo più dalla sua camera. [.....].

Il medico stesso proibì di accostarci al letto perfino, ma per me ogni comando era inutile, non obbedivo. Ogni sera, prima che andassi a letto, andavo da lei per dire le orazioni; m'inginocchiavo al suo capezzale, e si pregava.

Una sera, alle solite preghiere mi fece aggiungere un "De profundis" alle anime del Purgatorio, e 5 "Gloria" alle piaghe di Gesù. Le dissi infatti, ma come ero solita dirle io, svogliatamente e senza attenzione (in tutto il tempo di mia vita non ho mai atteso alla preghiera), e feci un bel capriccio lamentandomi con la mamma che erano troppe cose e non ne sentivo voglia. La mamma, indulgente, le altre sere fu più breve.

LA CRESIMA (1885). —
LA MAMMA IN PARADISO (1886).

Si avvicinava intanto il tempo che dovevo fare la Cresima. Pensò di farmi istruire un po', perché non sapevo nulla; ma io, cattiva, non volevo uscir di camera sua, e fu costretta una maestra della dottrina a venire ogni sera in casa, sempre sotto gli occhi della mamma (3).

Il giorno [26] di Maggio 1885 feci la Cresima (4), ma piangendo, perché dopo la funzione chi mi accompagnava volle ascoltare la Messa, e io temevo sempre che la mamma andasse via (morisse) senza portarmi via anche me.

Ascoltai alla meglio la Messa pregando per lei; tutto ad un tratto una voce al cuore mi disse: «Me la vuoi dare a me la mamma?» (5). «Sì, — risposi — ma se mi prendete anche me». «No, — mi ripetè la solita voce — dammela volentieri la mamma tua. Tu per ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in Cielo, sai? Me la dai volentieri?». Fui costretta a rispondere di sì; finita la Messa, corsi a casa. Mio Dio! Guardavo la mamma e piangevo; non potevo trattenermi.

Passarono altri due mesi; mai mi staccavo da Lei. Infine poi il babbo, che temeva che dovessi morire prima io di Lei, a forza un giorno mi condusse via, e mi portò da un fratello della mamma, non più a Lucca (6).

Babbo, babbo mio, allora sì... Che tormento! non vidi più nessuno, nè il babbo nè i fratelli; seppi poi che la mamma era morta il 17 Settembre di quell'anno (7).

A S. GENNARO CON LO ZIO.

Cambiai affatto vita andando con lo zio; ci trovai pure una zia, che non somigliava punto alla mamma: buona, religiosa, ma voleva sapere di Chiesa fino ad un certo punto. O allora sì che rimpiangevo il tempo che la mamma mi faceva pregare tanto! Tutto il tempo che stetti con lei, non mi fu possibile confessarmi (che ne avevo tanto desiderio); mi ero confessata sette volte sole, e avrei voluto andarci ogni giorno, dopo che fu morta la mamma (la mamma dopo la Cresima mi ci faceva portare ogni settimana).

Decise la zia di tenermi come figlia, ma saputa la cosa il mio fratello che è morto (8), non volle a nessun patto, e il giorno di Natale ritornai in famiglia, col babbo, i fratelli, due sorelline (9) (una che non conoscevo, perché fu portata via appena nata), e due persone di servizio.

Che consolazione provai nel ritornare con loro, e uscire dalle mani della zia! Lei mi voleva un bene infinito (10), e io nessuno nessuno. Il babbo allora mi mise a scuola all'istituto di S. Zita (erano monache) (11).

In questo tempo che fui con la zia, fui sempre cattiva. Lei aveva un figliuolo che mi faceva i dispetti e mi metteva le mani addosso; un giorno che era a cavallo (aveva 15 anni), la zia mi comandò che gli portassi non mi ricordo che cosa per coprirsi. Glielo portai, e lui mi dette un pizzicotto: gli detti allora una spinta forte, che cadde di sotto; si fece male al capo. La zia mi tenne le mani legate dietro alla schiena per un giorno intero. Io indispettita mi arrabbiai, gli risposi, e gli feci un mucchio di versi, e dissi anche di vendicarmi, ma non lo feci.

A SCUOLA DALLE ZITINE. —
PRIMA COMUNIONE (1887).


Cominciai ad andare a scuola alle Monache: ero in Paradiso. Mostrai subito desiderio di fare la Comunione, ma mi trovarono così cattiva e ignorante, che erano proprio sgomente. Cominciarono ad istruirmi, a darmi tanti buoni consigli; ma io divenivo sempre più cattiva, avevo soltanto il desiderio di far presto la SS. Comunione, e lo conobbero sì forte, che me lo concessero ben presto.
Erano solite le monache fare la S. Comunione nel mese di Giugno; eravamo intanto arrivate a quel tempo, e dovetti chiedere al babbo il permesso di entrare in convento per qualche tempo. Il babbo indispettito non mi accordò nulla: ma io, che conoscevo un'astuzia bella per piegarlo a concedermi tutto, adoperai quella e l'ottenni subito. (Ogni volta che il babbo mi vedeva piangere, faceva tutto quello che volevo). Piansi, altrimenti non ottenevo nulla. La sera ottenni il permesso, e la mattina subito andai in convento e mi trattenni 15 giorni. In questo tempo non vidi mai nessuno di famiglia. Ma come stavo bene! Che Paradiso, babbo mio! [...].

Appena fui in convento, e mi trovai contenta, corsi a ringraziare Gesù in Chiesina, e lo pregai caldamente a prepararmi bene alla S. Comunione.

Ma avevo un altro desiderio oltre a questo: la mamma, quando ero piccina, mi faceva vedere il Crocifisso e mi diceva che era morto in Croce per gli uomini; più tardi poi lo sentii ripetere dalle maestre, ma mai avevo capito nulla; e avrei desiderato di sapere per segno tutta la vita di Gesù e la sua Passione. Mostrai questo desiderio alla maestra mia, e cominciò giorno per giorno a spiegarmi qualche cosa, e per questo sceglieva un'ora quando le altre bimbe erano a letto, e lo faceva, credo, di nascosto alla Madre Superiora.

Una sera che mi spiegò qualche cosa della Crocifissione, della Coronazione, dei patimenti tutti di Gesù, me li aveva sì ben spiegati, sì al vivo, che ne provai tanto dolore e compassione, che mi venne all'istante una febbre sì forte, che per tutto il giorno dopo dovetti stare a letto. La maestra da quel giorno troncò ogni spiegazione (12).

Mi fecero pure inquietare quelle monache: vollero avvisare il babbo che mi era venuta la febbre; ma la pagarono cara anche loro, perché ce ne fu per loro, per me e per tutti del convento. Questo accadde in particolare nei 10 giorni di esercizi (13).

Entrai dunque con altre 11 bimbe nei santi esercizi, il giorno... di Giugno (14), che furono predicati dal Sig. Raffaele Cianetti (15). Tutte le bambine si davano premura di prepararsi bene a ricevere Gesù; io solo tra molte ero la più negligente e la più distratta: non mi davo nessun pensiero di cambiare vita, ascoltavo le prediche, ma ben presto le dimenticavo.

Spesso, anzi ogni giorno, quel buon Predicatore diceva: «Chi si ciba di Gesù (16), vivrà della Sua vita». Queste parole mi riempivano di tanta consolazione, e così ragionavo tra me: Dunque quando Gesù sarà con me, io non vivrò più in me, perché in me vivrà Gesù. E morivo dal desiderio di arrivare presto a poter dire queste parole. Alle volte, nel meditare queste parole, passavo intere le notti, consumando dal desiderio.

Spuntò finalmente il giorno tanto bramato. Il giorno avanti scrissi queste poche righe al babbo:
CARO BABBO,

Siamo alla vigilia del giorno della prima Comunione, giorno
per me di contentezza infinita. Gli scrivo questa riga sola per assicurarlo del
mio affetto, e perché preghi Gesù, affinché la prima volta che viene in me, mi
trovi disposta a ricevere tutte quelle grazie che mi ha preparate.

Gli chiedo perdono di tutti i disgusti e tante disobbedienze che gli ho recati, e lo
prego questa sera a volere tutto dimenticare. Dimandandogli la sua Benedizione,
mi dico

Aff. Figlia GEMMA.

Mi preparai con tanta fatica di quelle buone suore alla Confessione generale, che la feci in tre volte da Monsignor Volpi (17); terminai di farla il Sabato, vigilia del giorno felice.

Venne finalmente la Domenica mattina; mi alzai presto, corsi da Gesù per la prima volta (18). Furono alla fine appagati i miei sospiri. Intesi allora per la prima volta la promessa di Gesù: «Chi si ciba di me, viverà della mia vita».

Babbo mio, ciò che passò tra me e Gesù in quel momento, non so esprimerlo. Gesù si fece sentire forte forte alla misera anima mia. Capii in quel momento che le delizie del Cielo non sono come quella della terra. Mi sentii presa dal desiderio di render continua quell'unione col mio Dio. Mi sentivo sempre più staccata dal mondo, e sempre più disposta al raccoglimento. Fu in quella mattina stessa che Gesù mi dette il desiderio grande di essere religiosa.

I PROPOSITI DELLA PRIMA COMUNIONE.

Prima di uscir di convento mi proposi da me stessa certi propositi riguardo al regolamento della mia vita:

● 1. Mi confesserò e comunicherò ogni volta, come se fosse l'ultima.

● 2. Visiterò spesso Gesù Sacramentato, specialmente quando sono afflitta.

● 3. Mi preparerò a ogni festa della Madonna con qualche mortificazione, e ogni sera chiederò la benedizione alla Mamma celeste.

● 4. Voglio sempre stare alla presenza di Dio.

● 5. Ogni volta che suona l'orologio, ripetere 3 volte: Gesù mio, misericordia.

Avrei voluto aggiungerne altri, ma non mi fu permesso dalla maestra; e ne ebbe ragione, perché tornata in famiglia dimenticai dopo un anno circa i propositi fatti, i buoni consigli, e divenni peggiore di prima. Continuai ad andare a scuola alle monache; furono per un po' contente. Due o tre volte la settimana facevo la Comunione: Gesù si faceva sempre più sentire; più volte mi fece gustare consolazioni grandissime; ma come presto lo lasciai, cominciai a divenire superba, disobbediente più di prima, di cattivo esempio alle compagne, di scandalo a tutti.

Alla scuola non passava giorno che non fossi punita, non sapevo le lezioni, e poco mancò che non fossi cacciata via. In casa non lasciavo trovar pace a nessuno, ogni giorno volevo andare a passeggiare, e vestiti sempre nuovi, che il babbo poveretto mi contentò per assai tempo. Tralasciavo ogni mattina e ogni sera di fare le solite mie orazioni (19); tra tutti questi peccati non mai dimenticai di recitare ogni giorno tre "Ave Maria" con le mani sotto le ginocchia (cosa che mi aveva insegnata la mamma, affinché Gesù mi liberasse ogni giorno dai peccati contro la S. Purità).

VERSO I POVERI. — NUOVA CONVERSIONE.

Ed ancora in questo spazio di tempo, che durò per quasi un anno intero, l'unica cosa che mi era rimasta, era la carità verso i poveri. Ogni volta che uscivo di casa, volevo sempre denari dal babbo, e se alle volte me li negava, portavo via di casa pane... farina... e altre cose; e Dio proprio voleva che ne incontrassi spesso [di poveri], poiché erano tre o quattro ogni volta che uscissi di casa. A quelli poi che venivano alla porta, gli davo biancheria e tutto quello che avessi avuto.

Ne ebbi poi la proibizione dal Confessore, e più non lo feci; e per questo mezzo Gesù operò in me una nuova conversione; poiché il babbo non mi dava più nessuni quattrini, di casa non potevo più levarci nulla, e ogni volta che uscivo fuori, non incontravo che poveri e tutti correvano da me. Non potevo dar loro nulla, e questo era un dolore che mi faceva piangere continuamente; ed è per questo che finii col non uscire più fuori se non per vera necessità, e finii ancora col noiarmi dei vestiti e di tutte le altre cose.

Mi provai allora a fare di nuovo la Confessione generale e non mi fu concessa (20); mi confessai però di tutto, e Gesù me ne dette dolore sì grande, che tuttora lo sento. Chiesi perdono alle maestre, chè loro più di tutte avevo disgustato.

Al babbo però e ai fratelli non piacque questo cambiamento; poiché da un fratello specialmente spesse volte ne toccai, perché ogni mattina volevo andare alla Messa per tempo. Ma Gesù d'allora in poi più che mai mi aiutò.

IN FAMIGLIA CON LE ZIE.

In questo tempo, essendo morto il nonno e lo zio, due zie dalla parte del babbo vennero a stare con noi in famiglia (21). Erano zie buone, religiose, affezionate, ma non era mai l'affetto tenero della mamma. Ci conducevano in Chiesa quasi ogni giorno e non mancavano d'istruirci nelle cose di Religione.

Tra di noi fratelli e sorelle ve ne erano alcuni più buoni e altri più cattivi: il maggiore, il quarto che morì (22), e la più piccina Giulia erano più buoni, e perciò più amati dalle zie; ma gli altri, che avevano avuto cattivo esempio da me, erano assai più vivaci, e perciò più trascurati; ma per questo non mancava mai il necessario a nessuno.

La peggiore di tutti fui sempre io, e chi sa stretto conto che dovrò rendere al Signore per il cattivo esempio dato ai fratelli e compagni! Non mancarono le zie di correggermi in tutto quello che avessi mancato, ma io non rispondevo loro che con arroganza, e avevano da me se non che delle forti risposte.

Pure, come ho detto, Gesù usò di quel mezzo, di non poter più fare elemosine, per convertirmi. Cominciai allora a pensare all'offesa grande di Gesù coi miei peccati; comincai a studiare, a lavorare, e le maestre continuarono a volermi bene; l'unico difetto, pel quale ho avuto forti contese (23) e castighi, perché avevo la superbia. La maestra spesso per nome mi chiamava «la superba».

Sì, purtroppo l'avevo questo peccato; ma Gesù lo sa se lo conoscevo o no. Più volte sono andata in ginocchio avanti alla maestra, alle scolare tutte, alla Madre Superiora a chiedere perdono di questo peccato; ma poi la sera, e anche tante notti, piangevo da me sola: questo peccato non lo conoscevo, e più volte al giorno vi cadevo e ricadevo senza avvedermene.

LA BUONA MAESTRA.
La maestra, che nel tempo degli esercizi della S. Comunione avevami spiegata la Passione, un giorno (forse perché vedeva in me un cambiamento) si riprovò a spiegarmela; andò però molto adagio; anzi mi ripeteva spesso: «Gemma mia, — mi diceva — tu sei di Gesù, e devi essere tutta Sua. Sii buona: Gesù è contento di te; ma pure hai bisogno di tanto aiuto. La meditazione sopra la sua Passione deve essere una cosa per te la più cara. O se ti potessi aver sempre meco!...».

Quella buona maestra mi aveva indovinato il mio pensiero. Altre volte mi ripeteva: «Gemma, quante cose ti ha date Gesù!...». Io, che non capivo mai nulla di tutto questo, rimanevo come muta; ma alle volte avevo così bisogno di una parola, (e lo dico) di una carezza della mia cara maestra, che correvo a cercarla. Alle volte si mostrava seria; io, che la vedevo in quel modo, piangevo, e finiva poi colprendermi in braccio (benché fossi di 11 anni) e accarezzarmi, che alla fine poi fui presa a volergli tanto bene, che la chiamavo la mamma mia.

ESERCIZI SPIRITUALI DEL 1891.
Ogni due anni le monache sono solite fare anche alle alunne esterne un corso di esercizi: non mi parve vero potermi di nuovo riconcentrare con Gesù. Questa volta però fui sola senza nessun aiuto: le monache li facevano per conto loro e le bimbe da loro pure.

Capii bene che Gesù mi mandava questa occasione per conoscere bene me stessa, e per maggiormente purificarmi e piacergli.

Esercizi fatti l'anno 1891, nei quali Gemma deve cambiare e darsi tutta a Gesù.

Mi ricordo che quel buon sacerdote ripeteva: «Ricordiamoci che noi non siamo nulla, Dio è tutto, Dio è il nostro Creatore, tutto quello che abbiamo, l'abbiamo da Dio».

Dopo qualche giorno mi ricordo che il Predicatore ci fece fare la Meditazione sopra il peccato. Allora sì che conobbi veramente, babbo mio, che ero degna che tutti mi disprezzassero: mi vedevo sì ingrata al mio Dio, e mi vedevo ricoperta di tanti peccati.

Facemmo poi la Meditazione dell'Inferno, che me ne riconobbi meritevole, e a questa meditazione feci questo proposito: Farò, anche tra giorno, atti di contrizione, specialmente se avrò commessa qualche mancanza.

Negli ultimi giorni poi degli esercizi, si considerò gli esempi di umiltà, di dolcezza, obbedienza e pazienza [di Gesù]; e da questa meditazione ancora ritrassi due propositi:

● 1. Fare ogni giorno la visita a Gesù Sacramentato, e parlargli più col cuore che con la lingua.

● 2. Mi adopererò più che posso di non far mai discorsi indifferenti, ma parlerò di cose celesti.

Terminarono i detti esercizi e dopo ottenni dal Confessore di far la Comunione tre volte per settimana e confessarmi pure tre volte, e durai per circa 3 o 4 anni, fino al 1895.

MEDITANDO LA PASSIONE DI GESÙ.

Continuavo ad andare a scuola ogni giorno, ma il desiderio di ricevere Gesù e conoscere la sua Passione mi cresceva, [tanto] che ottenni dalla maestra che ogni volta che avessi avuto 10 a lavoro e a studio, me ne avrebbe spiegata per un'ora intera. Non bramavo di più: ogni giorno avevo 10 e ogni giorno avevo la spiegazione sopra un punto della Passione. Molte volte, riflettendo ai miei peccati e all'ingratitudine mia verso Gesù, cominciavamo insieme a piangere.

Fu nel corso di questi quattro anni che questa buona maestra m'insegnò anche a fare qualche piccola penitenza per Gesù: la prima fu di portare una piccola fune alla vita, e tante altre; ma per quanto facessi, mai ottenni il permesso dal Confessore. Allora m'insegnò a mortificare gli occhi e la lingua; riuscì a farmi migliorare, ma con molta fatica.

Questa buona maestra morì dopo avermi tenuta sotto di sé 6 anni (24); passai allora sotto la direzione di un'altra, buona quanto la prima; ma anche questa ebbe a lamentarsi molto di me per il brutto peccato della superbia (25).

Cominciai sotto la sua direzione ad avere più voglia assai di pregare. Ogni sera, appena uscivo dalla scuola, andavo in casa, mi chiudevo in una stanza e recitavo il Rosario intero in ginocchio, e più volte la notte per circa un quarto d'ora mi alzavo e raccomandavo a Gesù la povera anima mia.

LA BENIAMINA DEL BABBO. —
IL FRATELLO GINO.

Le zie, i fratelli poco si occupavano di me: mi lasciavano fare allora quello che avessi voluto, perché già avevano conosciuto quanto fossi cattiva. Il babbo poi mi contentava in tutto; esso diceva spesso (che mi faceva piangere tante volte): «Io ho due figli soli, Gino e Gemma».

Parlava così alla presenza di tutti gli altri, e per dire il vero eravamo un [po'] malvoluti dagli altri di casa.

Io pure amavo lui [Gino] più di tutti: si stava sempre insieme; nei giorno di vacanza ci divertivamo a fare altarini, feste ecc.; si stava sempre soli. Mostrò desiderio, quando fu grandicello, di essere prete; allora fu messo in Seminario, e fu vestito; ma pochi anni dopo morì (26).

Nel tempo che fu a letto, non voleva che io mi allontanassi da lui. Il medico l'aveva spedito affatto, e a me che mi dispiaceva tanto che dovesse morire, per morire io pure mi servivo di tutta la roba sua; e poco mancò che non morissi davvero, perché un mese dopo che fu morto, mi ammalai io pure gravemente.

Non posso dire le molte cure che ebbero tutti [per me], specialmente il babbo; e più volte lo vedevo piangere e chiedere a Gesù la morte in vece mia. Esso adoperò ogni rimedio, e dopo tre mesi guarii.

ADDIO ALLA SCUOLA. —
I MONILI DI UNA SPOSA DEL CROCIFISSO.

Il medico allora proibì lo studio, e uscii dalla scuola. Più volte la Superiora e le maestre mi mandarono a chiamare per avermi con loro, ma il babbo non mi ci volle più mandare. Ogni giorno mi conduceva fuori; ogni cosa avessi desiderata, tutto mi concedeva; ed io cominciai di nuovo ad abusarmene. Pure la Comunione tre o 4 volte la settimana la facevo, e Gesù, anche che fossi così cattiva, veniva, stava con me, mi diceva tante cose.

Una volta, mi ricordo benissimo, mi avevano regalato un orologio d'oro con la catena; io, ambiziosa come ero, non vidi il momento di mettermelo e uscire fuori (cominciò allora , babbo mio, a lavorare la mia fantasia). Uscii infatti; quando ritornai e andai per spogliarmi, vidi un Angelo (che ora ho riconosciuto per l'Angelo mio), che serio serio mi disse: «Ricordati che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spine e la croce».

Queste parole non le dissi neppure al Confessore, ora l'ho dette per la prima volta. Quelle parole mi fecero paura, come paura mi fece quell'Angelo; ma poco dopo riflettendo a dette parole, senza capir nulla, feci questo proponimento: Propongo per amor di Gesù, e per piacere a Lui, di non portare più, e neppure parlare più di cose che sanno di vanità.

Avevo un anello pure in dito: mi tolsi pure anche quello, e da quel giorno non ho più avuto nulla.

Mi proposi allora (perché Gesù mi dava allora lumi chiari che dovevo essere religiosa) di cambiare vita; e mi si offrì una bella occasione, perché allora appunto era vicino a cominciare l'anno 1896 (27). Mi scrissi in un piccolo libretto:

In questo nuovo anno mi propongo di cominciare nuova vita. Che mi accadrà in questo nuovo anno, non lo so. Mi abbandono in Voi, mio Dio. Tutte le mie aspirazioni (28), tutti i miei affetti saranno tutti per Voi. Mi sento debole, o Gesù; ma col vostro aiuto spero e risolvo di vivere in altro modo, cioè più vicina a Voi.

DESIDERIO DEL CIELO.

Dal momento però che la mamma avevami ispirato il desiderio del Paradiso, l'ho sempre (anche in mezzo a tanti peccati) desiderato ardentemente, e se Dio avesse lasciata a me la scelta, avrei preferito sciogliermi dal corpo e volare al Cielo. Ogni volta che avevo la febbre e mi sentivo male, era per me una consolazione; ma era per me un dolore, quando, dopo qualche malattia, sentivo crescermi le forze. Anzi un giorno domandai dopo la Comunione a Gesù perché non mi prendesse in Paradiso. Mi rispose: «Figlia, perché nel tempo della tua vita ti darò tante occasioni di merito maggiore, raddoppiando in te il desiderio del Cielo, e sopportando con pazienza la vita insieme» (29).

Queste parole non bastarono per niente a scemare in me questo desiderio; anzi ogni giorno mi avvedo che va sempre crescendo.

AMARE GESÙ E PATIRE CON LUI.

In questo stesso anno 1896 (30) cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù Crocifisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori.

Un giorno fui presa da tanto dolore nel guardare, cioè fissare cogli occhi il Crocifisso, che caddi in terra svenuta; si trovava in casa il babbo per appunto, e cominciò a con tendermi (31), dicendo che mi faceva male a stare sempre in casa, e a uscir presto la mattina (erano due mattine che non mi faceva andare alla Messa). Risposi arrabbiata (32): «A me mi fa male a stare lontana da Gesù Sacramentato».

S'inquietò tanto per questa risposta, che ne ebbi una forte gridata; mi nascosi in camera, e fu allora per la prima volta che sfogai il mio dolore con Gesù solo.

Babbo mio, io delle parole non me ne ricordo, ma l'Angelo mio è qui, che parola per parola me le detta. Son queste: «Ti vo' seguire a costo di qualsiasi dolore, e ti vo' seguire fervorosamente; no, Gesù, non vo' più darti nausea con operare tepidamente, come ho fatto fino a ora: sarebbe venire da te e recarti disgusto. Dunque propongo: Orazione più devota, Comunione più frequente. Gesù, io voglio patire e patire tanto per te. La preghiera sempre sulle labbra. Cade spesso colui che spesso propone: che sarà di quello che propone di rado?».

Babbo mio, queste parole mi vennero dettate dal mio cuore in quel momento di dolore e di speranza, solo col mio Gesù.

Ne facevo tanti dei proponimenti, ma non mai ne osservavo alcuno. Ogni giorno, in mezzo ai miei tanti peccati di ogni specie, chiedevo a Gesù da patire e patire tanto.

IL MALE AL PIEDE.

Gesù dopo tanto mi consolò: mi mandò un male in un piede. Lo tenni segreto per diverso tempo, ma il dolore si fece forte (33); venne il medico, disse che andava operato, se in tempo, se no tagliato il piede. Tutti in famiglia ne ebbero un forte dispiacere, io sola rimasi indifferente. Mi ricordo che mentre fui operata, piansi, urlai; ma poi, guardando Gesù, lo pregai a perdonarmi il mio sfogo (34). Altre pene mi mandò Gesù, e posso ben dire con verità che appena morta la mamma mia, non ho mai passato un giorno senza aver patito qualche piccola cosa per Gesù.

In questo tempo non mai avevo smesso di commettere peccati: ogni giorno andavo in peggio, ero piena di ogni difetti, e non so come mai Gesù mai si mostrava sdegnato. Una sola volta ho veduto Gesù sdegnato con me, e mille volte desidererei soffrire le pene dell'inferno in vita, che trovarmi davanti a Gesù inquietato e pormi davanti agli occhi il quadro orribile dell'anima mia, come fece in quel tempo che poi dirò (35).

IL PRIMO VOTO.

Nel giorno di Natale di quell'anno 1896 (36) mi fu permesso andare alla Messa e fare la S. Comunione. Avevo in quel tempo quasi 15 anni (37), e già da tanto tempo avevo pregato il Confessore se mi avesse fatto fare il voto di Verginità (glielo chiedevo da tanti anni, ma non sapevo che cosa fosse; però alla mia idea mi sembrava il regalo più bello che potesse esser caro a Gesù). Non mi fu possibile ottenerlo, ma in cambio di quello di Verginità mi fece fare quello di Castità, e la notte di Natale feci il primo voto a Gesù. Mi ricordo che Gesù lo grandì tanto, che da se stesso, dopo la Comunione, mi disse che a questo voto ci unissi l'offerta di me stessa, dei miei sentimenti, e la rassegnazione al volere suo. Lo feci con tanta gioia, che passai la notte e il giorno di poi in Paradiso.

L'ANNO TANTO DOLOROSO (1897):
LA MORTE DEL BABBO.


Terminò il detto anno, ed entrammo nel 1897 (38), anno tanto doloroso per tutti di famiglia. Io sola senza cuore rimanevo indifferente a tante disgrazie. La cosa che maggiormente afflisse gli altri, fu (39) che rimanemmo privi di tutti i mezzi, e per giunta una malattia grave al babbo.

Capii una mattina, dopo la Comunione, la grandezza del sacrifizio che voleva presto Gesù; piansi assai, ma Gesù, che in quei giorno di dolore si faceva tanto di più sentire all'anima mia, e anche che vedevalo [il babbo] tanto rassegnato a morire, trassi una forza [sì] grande, che sopportai l'acerba disgrazia assai tranquilla (40). E il giorno che morì, Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inutili, e lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio, che in quell'istante prendeva Lui le veci di Padre Celeste e Padre Terreno.

DALLA ZIA DI CAMAIORE. —
RITORNO A LUCCA (1898).

Dopo la sua morte [del babbo] ci trovammo senza niente: non avevamo più di che vivere. Una zia, saputa la cosa, ci aiutò in tutto, e non volle più che mi trattenessi in famiglia; e il giorno dopo la morte del babbo mandò a prendermi, e mi tenne con sè per più mesi. (Non era però la zia dopo la morte della mamma, era un'altra) (41).

Ogni mattina mi conduceva alla Messa; la Comunione pochissime volte la facevo, perché non trovavo modo di confessarmi da altri, meno che da Monsignore. In questo tempo però cominciai a dimenticarmi di Gesù, la preghiera la cominciai a lasciare, e cominciai di nuovo ad amare i divertimenti.

Un'altra nepote, che la zia teneva presso di sè, si fece amica mia, e per cattiveria si andava perfettamente d'accordo. La zia ci mandava spesso fuori sole; mi accorgevo bene che (se Gesù non avesse avuta pietà della mia debolezza) sarei caduta in peccati gravi; e l'amore del mondo cominciava adagio adagio a impadronirsi del mio cuore; ma Gesù eccolo di nuovo farsi avanti: tutto ad un tratto cominciai a divenire curva, e [ad avere] dei forti dolori alle reni. Resistei per alcun tempo; ma vedendo che andavo in peggio, chiesi alla zia che mi riconducesse a Lucca. Non perse tempo: mi fece accompagnare.

Ma, babbo mio, il pensiero di quei mesi trascorsi nel peccato mi faceva tremare; ne avevo fatte di ogni specie: pensieri anche impuri mi balenavano per la mente; avevo ascoltato cattivi discorsi, invece di fuggirli; avevo dette bugie alla zia per ricoprire la mia compagna; insomma vedevo l'inferno aperto per me (42).

MALATTIA MORTALE (1898-1899).

Giunta che fui a Lucca, trascinai per alcun tempo ammalata; non volli mai obbedire a farmi visitare dal medico (perché non volevo mai che nessuno mi mettesse le mani addosso, e mi vedesse). Una sera all'improvviso venne il medico in casa, con forza mi visitò, e mi trovò un ascesso (43) nel corpo che temette cosa grave, perché credeva che l'ascesso comunicasse con le reni.

Già da gran tempo sentivo dolore in quella parte; ma da me stessa non volevo né toccare né guardare, e questo perché da piccola avevo udita una predica, ed avevo ascoltate queste parole: «Il nostro corpo é il tempio dello Spirito Santo». Quelle parole mi colpirono, e più che ho potuto, ho custodito più che ho potuto (44) il mio corpo.

Il medico, dopo che mi ebbe visitata, chiese un consulto. Che pena, babbo mio, dovere farmi scoprire! Ogni volta che sentivo il medico, piangevo. Dopo il consulto andai sempre in peggio e fui costretta a mettermi a letto, senza potermi più muovere. Adoperavano ogni rimedio, ma invece di farmi bene mi facevano male. Nel letto ero inquieta, di noia a tutti.

Il secondo giorno che fui a letto, non trovavo pace, e scrissi a Monsignore che volevo vederlo. Venne subito, e feci la Confessione generale; non già perché stassi male, ma per trovare la pace di coscienza, che avevo perduta. Dopo confessata tornai in pace con Gesù, e per darmene un segno la sera stessa mi dette di nuovo un dolore forte de' miei peccati.

O babbo mio, ora sì! Il male si faceva sempre più forte, e i medici decisero di operarmi (da quella parte che ho già detto). Vennero in tre (quello che soffrii del male non fu nulla); il dolore, la pena fu soltanto quando mi toccò stare alla presenza loro scoperta quasi del tutto... Babbo mio... quanto era meglio morire!... Infine i medici vedevano che ogni cura era inutile, mi abbandonarono affatto; solo di quando in quando venivano, quasi direi, per complimento.

In questa malattia, che quasi tutti i medici avevano dichiarata per spinite, uno solo insisteva dicendo che era "isterismo" (45). Stavo nel letto sempre in una posizione, da me stessa mi era impossibile muovermi; per avere alle volte un po' di sollievo, dovevo pregare quei di casa che mi aiutassero ad alzare ora un braccio, ora una gamba: ogni cura l'avevano per me, ed io al contrario non avevo per loro che cattive maniere e rispostaccie (46).

IL CONFORTO DELL'ANGELO.

Una sera, inquieta più del solito, mi lamentavo con Gesù, dicendo che non avrei più pregato, se non mi faceva guarire, e chiedevo a Lui in che modo mi faceva stare così malata (47). L'Angelo mi rispose così: «Se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello spirito. Sii buona». O quante volte nella mia lunga malattia mi faceva sentire al cuore parole consolanti! ma mai ne facevo conto.

La cosa che mi affliggeva di più, lo stare nel letto, era perché avrei voluto fare io ciò che facevano gli altri: ogni giorno sarei andata volentieri a confessarmi, ogni mattina alla Messa. Ma una mattina, che mi avevano portata la S. Comunione in casa (48), Gesù un po' forte si fece sentire, e mi fece un forte rimprovero, dicendomi che ero un'anima debole. «E' il tuo cattivo amor proprio, che si risente per non poter fare ciò che fanno gli altri — mi diceva — o per la troppa confusione che provi nell'aver bisogno del soccorso altrui; se tu fossi morta a te stessa, non saresti così inquieta».

Quelle parole di Gesù mi fecero bene, e per qualche tempo me ne stetti sempre allegra di spirito.

S. GABRIELE DELL'ADDOLORATA.

In questo tempo in famiglia si facevano tridui, novene, e si facevano fare, per la mia guarigione; ma non si otteneva nulla. Io stessa rimanevo indifferente: le parole di Gesù mi avevano fortificata, ma non convertita.

Un giorno una signora, che era solita venirmi a fare visita, mi portò un libro da leggere (la vita del V. [= Venerabile] Gabriele) (49). Quasi con disprezzo lo presi e lo posi sotto il capezzale; mi pregò la detta signora di raccomandarmi a Lui, ma non ci pensava neppure. In casa si cominciarono a dirgli ogni sera 3 p. a. g. [= "Pater, Ave, Gloria"].

Un giorno ero sola, era mezzogiorno passato: mi venne una forte tentazione, e dicevo tra me che ero annoiata e lo stare a letto mi era venuto a noia. Il demonio si valse di questi pensieri e cominciò a tentarmi, dicendo che, se avessi dato retta a lui, mi avrebbe guarita, ed avrebbe fatto tutto quello che avessi voluto. Babbo mio, fui quasi sul punto di cedere; ero agitata, mi davo per vinta. A un tratto mi viene un pensiero: corsi con la mente al V. G. [= Venerabile Gabriele] e forte dissi: «Prima l'anima e poi il corpo!»

Nondimento il demonio continuava con assalti più forti: mille pensieri brutti mi balenavano per la mente. Di nuovo ricorsi al V. G. e col suo aiuto vinsi; tornai in me, mi feci il segno della S. Croce e in un quarto d'ora tornai ad unirmi col mio Dio, da me tanto disprezzato. Mi ricordo che quella sera stessa cominciai a leggere la vita di C. [= Confratel] Gabriele. La lessi più volte: non mi saziavo mai di rileggerla e ammirare le sue virtù e i suoi esempi. I propositi erano molti, ma i fatti nessuni.

Da quel giorno che il mio nuovo protettore V. G. [= Venerabile Gabriele] mi aveva salvata l'anima, cominciai ad averne divozione particolare: la sera non trovavo il sonno, se non aveva l'immagine Sua sotto al guanciale, e cominciai fino d'allora a vedermelo vicino (qui, babbo mio, non so spiegarmi: sentivo la sua presenza). In ogni atto, in ogni azione cattiva che avessi fatta, mi tornava alla mente C. [= Confratel] Gabriele, e mi astenevo. Non mancavo ogni giorno di pregarlo con queste parole: «Prima l'anima che il corpo» (50).

Venne poi un giorno la detta signora a riprendermi la vita del Venerabile. Nel togliermela di sotto al guanciale e consegnarla alla signora non potei fare a meno di piangere; quella, vedendo che mi faceva dispiacere a lasciarla, mi promise di tornarla a prendere quando gliela avessero chiesta chi gliela aveva prestata. Tornò dopo qualche giorno, ma allora anche piangendo bisognò che gliela consegnassi; ne provai gran dispiacere.

Ma quel Santo di Dio volle ben presto ricompensare il piccolo sacrifizio, e la notte in sogno mi apparve vestito di bianco; babbo mio, non lo conobbi. Esso se ne avvide che non lo conoscevo, si aprì l'abito bianco e mi si fece vedere vestito da Passionista; non tardai allora a riconoscerlo. Rimanevo in silenzio davanti a Lui. Mi dimandò perché avessi pianto nel privarmi della sua vita: non so quel che risposi; ma esso mi disse: «Vedi quanto ho gradito il tuo sacrifizio: l'ho gradito tanto, che son venuto io stesso a vederti. Mi vuoi bene?». Non risposi. Mi accarezzò più volte e mi ripeté: «Sii buona, ché tornerò a vederti». Mi dette a baciare l'abito suo e la corona, e andò via.

La fantasia andava crescendo il lavoro. Ebbi voglia poi di aspettare un'altra visita: non venne che dopo tanti ma tanti mesi.

Ecco come accadde. Eravamo alla festa dell'Immacolata Concezione; in quel tempo venivano le "monache Barbantine", Suore di Carità, per cambiarmi e servirmi; tra loro spesso ne veniva una che non era anche (51) vestita [da religiosa], e non la vestivano che dopo due anni, perché era piccola. La vigilia di detta festa vennero al solito le monache, mi venne in quel tempo un'ispirazione: Se dimani — pensavo tra me — che è la festa della Mamma mia, gli promettessi che, se mi facesse guarire, mi farei Suora di Carità, che sarebbe?...

Questo pensiero mi consolò; lo manifestai a Suor Leonilda, ed essa mi promise che, se fossi guarita, mi avrebbe fatta vestire insieme a quella novizia, di cui ho già parlato. Rimanemmo che la mattina avrei fatto questa promessa a Gesù dopo la Comunione. Venne Monsignore per confessarmi, e ne ebbi da Lui subito il permesso. Di più mi dette un'altra consolazione: il voto di Verginità, che mai era spuntato a farmelo fare, quella sera stessa insieme lo facemmo perpetuo. Lui lo rinnovò, ed io lo feci per la prima ed ultima volta. Quante grandi grazie, alle quali non ho mai corrisposto!

Mi trovavo quella sera in una calma perfetta. Venne la notte, mi addormentai. Tutto ad un tratto vedo in piedi dinanzi a me il mio Protettore; mi disse: «Gemma, fai pure volentieri il voto di essere Religiosa, ma non ci aggiungere altro». «Perché?» dimandai. E Lui mi rispose facendomi una carezza sulla fronte. «Sorella mia!» mi disse guardandomi e sorridendo. Non capivo nulla di tutto questo; per ringraziarlo gli baciai l'abito; si tolse il cuore, quello di legno [che i Passionisti portano sul petto], me lo fece baciare, e me lo pose sul petto sopra i lenzuoli, e di nuovo mi ripeté: «Sorella mia!». Sparì.

Alla mattina sopra i lenzuoli non c'era nulla; feci per tempo la Comunione, feci la mia promessa, ma non ci aggiunsi altro. Di questo non ne parlai né con le monache né col Confessore; ora però, e tante volte, quelle monache mi ricordano il voto, perché esse credono che promettessi di farmi Suora di Carità, e mi dissero una volta che la Madonna può farmi ammalare di nuovo. Gesù la gradì molto questa cosa, e si rallegrò nel mio povero cuore.

MIRACOLOSA GUARIGIONE
(3 MARZO 1899).


Intanto passavano i mesi, ed io non miglioravo per niente, Il 4 di Gennaio i medici tentarono un'ultima prova: mi dettero 12 bottoni di fuoco nelle reni. Basti, cominciai a peggiorare. Oltre a questi mali, il 28 Gennaio si aggiunse un dolore insopportabile al capo. Il medico chiamato al consulto dichiarò il male pericoloso (si trattava di un tumore nel capo); l'operazione non si poteva fare, perché ero in estrema debolezza; andavo peggiorando ogni giorno, e il giorno 2 Febbraio feci la S. Comunione per Viatico. Mi confessai, e aspettavo il momento di andare con Gesù. Ma adagio! I medici credendo che io più non capissi, dissero tra loro che non sarei arrivata alla mezzanotte. Viva Gesù!

Una mia maestra (della quale ho già parlato in addietro) di scuola (52), venne per vedermi e insieme per dirmi addio e rivederci in Cielo. Mi pregò nondimeno a fare una novena alla B. M. M. A. [= B. Margherita Maria Alacoque], dicendomi che essa senza dubbio mi avrebbe fatta la grazia o di guarire perfettamente, ovvero, appena spirata, volare subito al Cielo.

La detta maestra volle, prima di uscire da capo al mio letto (53), che io gli promettessi di cominciare quella sera stessa la Novena, era il 18 Febbraio; la cominciai infatti; la feci per la prima volta quella sera stessa, il giorno dopo me la dimenticai. Il giorno 20 eccomi di nuovo daccapo, ma di nuovo la dimenticai. Che attenzione alla preghiera, è vero, babbo mio?

Il 23 la cominciai per la terza volta (cioè avevo idea di cominciarla), ma mancavano pochi momenti alla mezzanotte, e sento dimenare una corona, e sento una mano posarmi sopra la fronte; sentii cominciare un "Pater, Ave e Gloria", per nove volte di seguito. Io appena rispondevo, perché ero sfinita dal male. Quella medesima voce, che aveva guidati i "Pater noster", mi dimandò: «Vuoi guarire?». «E' lo stesso», risposi. «Sì, — soggiunse — tu guarirai; prega con fede il Cuore di Gesù; ogni sera, fino che non sarà terminata la Novena, io verrò qui da te, e pregheremo insieme il Cuor di Gesù». «E la B. M. [= Beata Margherita]?» gli dimandai. «Aggiungi pure da te tre "Gloria Patri" in suo onore».

Così feci per 9 sere di seguito; la stessa persona veniva ogni sera, mi posava la mano sopra la fronte, si recitavano insieme i "Pater" al Cuor di Gesù, e poi me ne faceva aggiungere 3 "Gloria" alla B. M. (54).

Era il penultimo giorno della Novena, e al termine di quella volevo fare la SS. Comunione; terminava appunto il primo Venerdì di Marzo. Chiamai il Confessore, mi confessai; per tempo la mattina feci la Comunione. Che momenti felici passai con Gesù! Mi ripeteva: «Gemma, vuoi guarire?». La commozione fu tanto grande, che non potevo rispondere. Povero Gesù! La grazia era fatta, ero guarita (55).

TENEREZZE DI GESÙ.

«Figlia, — mi diceva Gesù abbracciandomi — io mi do tutto a te, e tu sarai tutta mia?». Vedevo bene che Gesù mi aveva tolto i genitori, e alle volte mi disperavo (56), perché credevo di essere abbandonata. Quella mattina me ne lamentai con Gesù, e Gesù sempre più buono, sempre più tenero mi ripeteva: «Io, figlia, sarò sempre con te. Sono Io tuo Padre, la mamma tua sarà quella... — e m'indicò M. S. [= Maria Santissima] Addolorata —. Mai può mancare la paterna assistenza a chi sta nelle mie mani; niente dunque mancherà a te, quantunque ti abbia tolta ogni consolazione e appoggio su questa terra. Vieni, avvicinati... sei mia figlia... Non sei felice di essere figlia di Gesù e di Maria?». I tanti affetti, che Gesù mi aveva fatti nascere nel cuore, m'impedirono di rispondere.

Passarono due ore appena, e mi alzai. Quei di casa piangevano per l'allegrezza; io pure ero contenta, non per la riacquistata salute, ma perché Gesù mi aveva eletto per sua figlia. Mi disse Gesù prima di lasciarmi quella mattina: «Figlia mia, alla grazia che ti ho fatto stamattina ne seguiranno ancora, molto maggiori». Ed è stato purtroppo vero, poiché Gesù mi ha sempre protetta in modo speciale: per Lui non ho avuto che freddezza, indifferenza, e Lui non mi ha ricambiata che con segni infiniti di amore.

FAME EUCARISTICA.

Cominciai fin d'allora a non poter resistere, se ogni mattina non andavo da Gesù; ma non potevo: ne avevo il permesso dal Confessore, ma la debolezza era tanta, che appena potevo reggermi in piedi. Il secondo Venerdì di Marzo del 1899 uscii per la prima volta a fare la SS. Comunione, e d'allora in poi non l'ho più lasciata; solo qualche volta, perché i miei tanti peccati me ne rendevano indegna, o per castigo del proprio Confessore.

DALLE SALESIANE.

Quella mattina stessa del secondo Venerdì le Monache Salesiane (57) vollero vedermi; andai infatti da loro, e mi promisero che nel mese di Maggio mi avrebbero preso con loro a fare un corso di esercizi, e nel Giugno poi, se fosse stato mio desiderio e vera vocazione, mi avrebbero preso in convento per sempre. Sì, mi sentii contenta di questa scelta fatta da loro, molto più che Monsignore conoscevo che era con esse veramente d'accordo.

SETTIMANA SANTA DEL 1899.
Trascorsi intanto il mese di Marzo, facendo ogni mattina la Comunione, e Gesù mi riempiva di ineffabile consolazione (58). Venne poi la Settimana Santa, da me tanto desiderata per assistere alle Sacre Funzioni; ma Gesù aveva disposto ben diversamente: in quella settimana Gesù voleva da me un grosso sacrifizio. Venne il Mercoledì Santo (nessun segno mai si era manifestato in me, altro che quando facevo la S. Comunione, Gesù si dava a conoscere in maniera grandissima).

L'ANGELO CUSTODE MAESTRO E GUIDA.

L'Angelo Custode, dal momento che mi alzai, cominciò a farmi da maestro e guida: mi riprendeva ogni volta che avessi fatto qualche cosa di male, m'insegnava a parlar poco e solo quando venivo interrogata. Una volta che quelli di casa parlavano di una persona e non ne dicevano tanto bene, io volli metterci bocca, e l'Angelo bello forte mi fece un gran rimprovero. M'insegnava a tener gli occhi bassi, e fino (59) in Chiesa bello forte mi rimproverava, dicendomi: «Si sta così alla presenza di Dio?». E altre volte mi gridava in questo modo: «Se tu non sei buona, io non mi farò più vedere da te». M'insegnò più volte come dovessi stare alla presenza di Dio: ad adorarlo nella sua infinita bontà, nella sua infinita maestà, nella sua misericordia e in tutti i suoi attributi.

LA PRIMA ORA SANTA. — GESÙ CROCIFISSO.

Eravamo intanto, come ho detto, alla Settimana Santa, era Mercoledì; il Confessore credette di farmi alla fine fare la Confessione generale, come io da gran tempo ne mostravo il desiderio; scelse appunto quella sera di Mercoldì e ben tardi. Gesù per sua infinita misericordia mi dette un dolore fortissimo dei miei peccati, ed ecco in che modo. Il Giovedì sera cominciai per la prima volta a fare l'Ora Santa (avevo promesso al Cuor di Gesù che, se fossi guarita, ogni giovedì avrei fatto immancabilmente l'Ora Santa) (60). Era la prima volta che la facevo alzata; anche gli altri Giovedì la facevo, ma nel letto, perché il Confessore non mi permetteva di farla alzata per l'estrema debolezza che avevo. Ma dalla Confessione in poi mi permise tutto.

Mi misi dunque a fare l'Ora Santa; ma mi sentivo così ripiena di dolore de' miei peccati, che passai giorno di martirio continuo. In mezzo però a questo dolore infinito, mi rimaneva un conforto: quello di piangere: conforto insieme e sollievo. Passai l'ora intera pregando e piangendo; infine, stanca come ero, mi misi a sedere; il dolore continuava. Mi sentii poco dopo raccogliermi tutta, e dopo poco, quasi tutto ad un tempo, mi vennero a mancare le forze (potei alzarmi a stento e chiudere le porte di camera a chiave). Dove mi trovai? Babbo mio, mi trovai dinanzi a Gesù crocifisso allora allora. Versava sangue da tutte le parti. Abbassai subito gli occhi, e quella vista mi turbò assai; mi feci il segno della S. Croce; dopo il turbamento successe presto la tranquillità di spirito (61). Ma continuavo anche più forte a sentire dolore dei peccati; non alzai mai gli occhi per guardare Gesù: non ne ebbi mai il coraggio; mi misi in terra con la fronte, e così stetti per più ore. «Figlia, — mi disse — vedi: queste piaghe le avevi tutte aperte per i tuoi peccati; ma ora consolati, ché le hai tutte chiuse col tuo dolore. Non mi offendere più. Amami, come io ti ho sempre amato. Amami», mi ripeté più volte.

Quel sogno si dileguò e tornai e tornai in me; cominciai fino d'allora ad avere un orrore grande per il peccato (la grazia più grande che mi ha fatto Gesù). Le piaghe di Gesù rimasero sì bene nella mia mente, che non si sono più cancellate.

VENERDÌ SANTO (31 MARZO 1899).

La mattina di Venerdì Santo feci la Comunione (62), e il giorno avrei voluto andare alle ore di agonia; ma quei di casa non me lo vollero permettere, benché piangessi, e con forza (63) feci questo primo sacrifizio a Gesù; e Gesù, tanto generoso, benché [fosse fatto] con fatica, pure me lo volle premiare; poiché mi rinchiusi in camera a farle da me, ma non fui sola: venne con me l'Angelo mio Custode e pregammo insieme; assistemmo Gesù in tutte le sue pene, compatimmo la Mamma nostra nei suoi dolori. Non mancò però il mio Angelo di farmi un dolce rimprovero, dicendomi che non piangessi quando avevo da fare qualche sacrifizio a Gesù, ma ringraziassi quelli che mi davano occasione di farmeli fare.

Fu questa la prima volta e anche il primo Venerdì, che Gesù si fece sentire all'anima mia così forte; e benché non ricevessi, perché era impossibile, dalle mani del sacerdote Gesù vero, pure Gesù venne da sé e si comunicò a me. Ma fu così forte quella nostra unione, che io rimanevo come stupida.

Ma parlò ben forte Gesù. «Che fai? — mi diceva — che mi dici? Non ti commuovi nemmeno?». Fu allora che, non potendo resistere più, con forza dissi: «O Gesù, ma come: tu perfettissimo, santissimo, non amare chi altro non è che per te freddezza e imperfezione?». «Smanio — mi ripeteva Gesù — di unirmi a te; corri ogni mattina. Ma sai, — mi diceva — io sono un padre, uno sposo geloso; mi sarai tu figlia e sposa fedele?».

Mille promesse feci a Gesù quella mattina; ma Dio mio! come presto le dimenticai! L'orrore al peccato sempre lo provavo, ma pure sempre ne commettevo. E Gesù no, non era contento; mi consolava sempre, mandava l'Angelo Custode a farmi da guida in tutto.

Dopo questa cosa accaduta, dovevo per la prima palesarla al Confessore; andai a confessarmi, ma non ebbi coraggio: uscii senza aver detto nulla (64). Andai a casa, e nell'entrare in camera mi accorsi che l'Angelo mio piangeva; non ebbi ardire di domandargli nulla, da se stesso mi rivolse queste parole: «Dunque tu non mi vuoi più vedere? Sei cattiva: nascondi le cose al Confessore. Ricordati — mi disse — questo, te lo ripeto per l'ultima volta: se tu taci qualche cosa al Confessore un'altra volta, io non mi farò più vedere da te. Più, più». Mi misi in ginocchio, e mi comandò di dire l'atto di contrizione, e mi fece promettere che gli avrei palesato tutto [al Confessore], e mi perdonò a nome di Gesù.

UN SEVERO RIMPROVERO DI GESÙ.

Eravamo allora nel mese di Aprile; con impazienza aspettavo il momento di potere andare nelle Salesiane a fare gli esercizi, come già me ne avevano fatto promessa. Una volta, ovvero una mattina dopo la Comunione, Gesù mi fece conoscere una cosa che gli era dispiaciuta assai: l'avevo commessa la sera avanti.

Erano solite venire in casa mia due ragazze amiche di una sorella mia, e si parlava non di cose cattive, ma mondane; io ci presi parte e dissi le mie come gli altri; ma la mattina Gesù me ne fece un rimprovero sì forte, che il terrore mio fu tanto grande, che avrei desiderato non parlar più e non vedere più nessuno.

Gesù continuava intanto a farsi sentire ogni giorno di più all'anima mia e riempirmi di consolazioni, ed io al contrario a voltargli le spalle e offenderlo senza dolore alcuno.

SETE DI AMORE E DI PATIMENTI.

Due sentimenti e due pensieri insieme mi nacquero nel mio cuore, dopo che per la prima volta Gesù si fece sentire e vedere grondante Sangue. Il primo di amarlo, e di amarlo fino al sacrificio; ma siccome non sapevo fare ad amarlo veramente, pregai il mio Confessore a insegnarmi, ed esso mi rispose così: «O a leggere e a scrivere come si fa? Ci esercitiamo a scrivere e a leggere continuamente, e infine s'impara». Non mi persuase questa risposta: non ne capii affatto niente. Più volte lo pregai a insegnarmi, ma ne avevo sempre la stessa risposta.

L'altra cosa che mi nacque in cuore, dopo avere veduto Gesù, fu un gran desiderio di patire qualche cosa per Lui, vedendo che aveva patito tanto per me. Cominciai fino d'allora a provvedermi di una grossa fune, che all'insaputa di tutti tolsi dal pozzo; ci feci parecchi nodi e me la posi alla vita. Non feci in tempo però a tenerla neppure un quarto d'ora, che l'Angelo Custode rimproverandomi me la fece togliere, perché non ne avevo chiesto il permesso al Confessore; glielo chiesi poco dopo, e ottenni il permesso. Ma ciò che mi affliggeva, era il non poter amar Gesù come avrei voluto; mi davo premura di non offenderlo, ma la mia cattiva inclinazione al male era [sì] forte, che senza una grazia speciale di Dio sarei caduta all'inferno.

«IMPARA COME SI AMA».

Mi dava pensiero il non saperlo amare, ma + Gesù, che nell'infinita sua bontà non si vergognava di umiliarsi fino a farsi mio maestro, un giorno per rendermi tranquilla, in tempo che facevo le preghiere della sera, mi sentii tutta internamente raccogliere, e mi trovai per la seconda volta davanti a Gesù Crocifisso, che mi disse queste parole: «Guarda, figlia, e impara come si ama», e mi mostrò le sue 5 piaghe aperte. «Vedi questa croce, queste spine, questo Sangue? sono tutte opere di amore, e di amore infinito. Vedi fino a qual segno io ti ho amato? Mi vuoi amare davvero? impara prima a soffrire. Il soffrire insegna ad amare».

Provai a quella vista un nuovo dolore, e pensando all'amore infinito di Gesù per noi, e ai patimenti che aveva sofferti per nostra salvezza, "svenni", caddi per terra, e mi rinvenni dopo parecchie ore. Tutto quello che mi accadeva durante queste preghiere, erano consolazioni grandissime, che, se anche le avessi prolungate per più ore, non mi sarei mai stancata.

Ogni Giovedì continuavo a fare l'Ora Santa, ma mi accadeva alle volte che quest'ora durasse fino anche circa le 2, perché me ne stavo con Gesù, e quasi sempre mi faceva parte di quella tristezza che provò nell'Orto alla vista di tanti peccati miei e di tutto il mondo: una tristezza tale, che può ben paragonarsi all'agonia della morte. Dopo tutto questo rimanevo in una calma così soave e in una consolazione, che bisognava che mi sfogassi in lacrime, e queste lacrime mi facevano gustare un amore incomprensibile, e aumentavano in me il desiderio di amar Gesù e patire per Lui.

NEL MONASTERO DELLE SALESIANE.

Ci avvicinavamo (65) intanto al momento desiderato dei S. Esercizi, ed entrai in convento il 1º Maggio 1899 alle ore 3. Credetti di entrare in Paradiso. Che consolazione! Proibii per la prima cosa a quei di casa di non venirmi mai a vedere in quel tempo, perché quei giorno erano tutti per Gesù. Monsignore, la sera stessa che entrai, venne a vedermi e mi concesse il permesso (come lo desiderava la M. Superiora) che non facessi esercizi proprio nascosti (66), ma li facessi come per prova, cioè facessi tutto quello che facevano le monache, perché non avrei potuto stare tanto raccolta; ma volli obbedire senza repliche. La M. Superiora mi consegnò alla Maestra delle Novizie, che mi dette un orario per i giorni che dovevo passare là dentro (67).

Dovevo alzarmi alle 5, andare in coro alle 5½, fare la Comunione e poi recitare con le monache "Prima e Sesta"; dopo uscire per fare colazione e dopo mezz'ora andare in cella; alle 9 in coro di nuovo, ad ascoltare la Messa della Comunità e recitare "Nona" (68); alle 9½ poi, se Monsignore avesse potuto, sarebbe venuto a farmi la predichina; ma poi, non potendo venire, mi dette un libro, ché a quell'ora facessi la meditazione, e veniva poi la sera a dirmi qualche cosa. Alle 10¼, che terminavo appunto la meditazione, dovevo fare la visita a Gesù con le monache, e poi alle 10½ a desinare, fino alle 11½; da quest'ora poi fino alle 12½ ricreazione (ottenni da Monsignore il permesso di fare ricreazione una sola volta al giorno, colle monache, perché la sera avevo piacere di stare in coro con Gesù). A mezzogiorno e mezzo poi andavo in Noviziato fino alle 3 e si lavorava; alle 3 di nuovo a recitare Vespro, e poi si riuniva un'altra volta tutta la Comunità, e la Superiora faceva qualche istruzione, fino alle 5. Alle 5 di nuovo in Chiesa a dire Compieta e [fare] un'ora di meditazione, come meglio ci fosse piaciuto di farla; dopo la meditazione di nuovo al refettorio e poi ricreazione, e quel tempo io lo passavo o con la Madre Superiora nella sua camera, oppure in coro. Si riuniva poi dopo le 8½ la Comunità per circa mezz'ora, e alle 9 si recitava Mattutino, e infine a letto.

Babbo mio, mi sembrò che quella vita fosse troppo (69) per le monache, e piuttosto che affezionarmi ad esse cominciò invece a non piacermi in nulla quel modo di vivere. Le Novizie, che avevano tutte per me qualche cura speciale, m'avvisavano di quando in quando e mi dicevano quello che più poteva tornar gradito alla Comunità, ma non me ne davo però nessun pensiero; quello però che mi affliggeva, [era] di dover tornare di nuovo nel mondo; ed avrei preferito rimanere lì (benché non mi ci sentissi nulla trasportata), che tornar di nuovo nei luoghi, dove le occasioni di offender Gesù sono molte; e pregai Monsignore a volermi concedere il permesso di non più uscire di convento.

Col consenso della M. Superiora e di tutta la Comunità chiese il permesso all'Arcivescovo (70), che non lo concesse dicendo che ero ancor debole di salute, e perché portavo un busto di ferro per reggermi meglio sulla schiena. (Non lo so davvero chi facesse la spia all'Arcivescovo). La M. Superiora allora mi comandò per obbedienza di togliermi il busto; piansi a questo comando, perché sapevo bene di non potermi reggere; corsi in noviziato, pregai il mio caro Gesù bambino, e poi corsi in camera; me lo tolsi, ed ora sono quasi due anni passati, non l'ho più messo e sto benissimo.

La Superiora, saputa la cosa, si dette premura subito di avvisare Monsignore, che Esso poi avvisasse l'Arcivescovo. Mancava un giorno a finire i S. Esercizi e Mons. Volpi venne per confessarmi, e mi dimandò se fossi rimasta ancora in convento per altri 12 giorno, perché il 21 Maggio ci era la Professione di alcune Suore ed avrebbe desiderato che io fossi presente.

Fui contenta infinitamente di rimanere con loro, ma un pensiero mi era fisso in mente: quella vita era troppo comoda per me; avevo peccato tanto, dovevo ancora far penitenza. Palesai i miei timori a Gesù dopo la Comunione, e Gesù, non guardando mai alla mia miseria, mi consolava e si faceva sempre più sentire all'anima mia, e mi quietava dicendomi sempre parole consolanti. Fui presente, come desiderava Monsignore, alla Professione di 4 Novizie; quella mattina piansi e piansi tanto: Gesù mi commosse più del solito, e alcune Suore, che mi avevano veduta, si accostarono e mi dimandarono se avessi desiderato qualche cosa, perché ero appunto al momento di perdere i sensi. (Era vero: le monache si erano dimenticate di darmi colazione, e dimenticarono ancora di darmi desinare, perché quel giorno mangiai passato il "tocco").

Ebbi però una bella contesa (71), come meritavo: da me stessa dovevo andare in Refettorio, dopo sonato il campanello, ma mi vergognai, ovvero (senta, babbo mio, a che arriva la mia cattiveria e il mio rispetto umano) la M. Superiora era solita tenermi accanto a sé in qualunque posto mi fossi trovata; quel giorno appunto della Professione, le Monache che professano vanno accanto alla M. Superiora, sicché io rimasi fuori, e per la superbia di non andare accanto ad altre, rimasi senza mangiare.

Meritavo peggio, mio Dio! ma Gesù mi sopportò ancora; mi dette un castigo, cioè di non farsi sentire per più giorno. Piansi tanto per questo, ma Gesù mi mandò di nuovo l'Angelo mio Custode e mi disse: «Felice tu, o figlia, che meriti sì giusto castigo!...». Non capii nessuna di quelle parole, ma sentii che consolarono il mio cuore.

RITORNO IN FAMIGLIA. — NOSTALGIA
DEL CHIOSTRO E SPERANZE DELUSE.

Mio Dio! Ecco un nuovo dolore: il giorno dopo dovevo uscire di convento, per tornare a casa; quel momento avrei desiderato che non giungesse mai, ma purtroppo ci arrivai. Erano le 5 di sera del 21 Maggio 1899 e dovetti uscire; chiesi piangendo la benedizione alla Madre Superiora, salutai le monache e uscii. Mio Dio! Che dolore!

Ma a questo dolore ben presto doveva succederne un altro ancora più forte. Tornai in famiglia, ma non potevo più adattarmici: già la mia mente e il mio cuore erano fissi nel pensiero di essere Religiosa, e nessuno poteva distogliermene; e per uscire dal mondo deliberai assolutamente di farmi ormai monaca Salesiana. Quasi ogni giorno correvo al Monastero, e le Suore mi avevano promesso che nel mese di Giugno, il giorno della festa del Sacro Cuore di Gesù, mi avrebbero ormai presa con loro.

Devo dire però che sentivo che il mio cuore non era pienamente contento: sempre perché la vita Salesiana è troppo comoda. E più volte Gesù di quando in quando mi ripeteva al cuore: «Figlia, per te ci vuole una regola più austera». A queste parole quasi mai ci davo ascolto e continuavo ad essere ferma nel mio proposito.

Entravamo intanto nel mese di Giugno, e mi accorsi che le Monache erano alquanto cambiate; io non mi turbai per niente: ogni volta che andavo per vedere la Superiora, mi rispondevano che non poteva, e ci mandava or l'una e or l'altra; e cominciarono a farmi dei discorsi, dicendomi che, se non ci fossero stati almeno 4 certificati medici, non mi avrebbero accettata. Tentai anche questo, ma riuscì vano ogni tentativo: i medici non volevano far nulla, e le monache un giorno mi dissero che, quando avessi avuto i certificati, mi avrebbero subito presa, altrimenti no assolutamente. Questa risoluzione non mi turbò mai, perché Gesù non mancava di consolarmi con tante grazie.

UNA GRAZIA GRANDISSIMA: LE STIMATE.

Il giorno 8 Giugno (72), dopo la Comunione, Gesù mi avvisò che la sera mi avrebbe fatta una grazia grandissima. Andai poi il giorno stesso per confessarmi e lo dissi a Monsignore, e rispose che stassi bene attenta a riferirgli dopo ogni cosa.

Eravamo alla sera: tutto ad un tratto, più presto del solito mi sento un interno dolore dei miei peccati; ma lo provai così forte, che non l'ho più sentito; quel dolore mi ridusse quasi direi lì lì per morire (73). Dopo questo mi sento raccogliere tutte le potenze dell'anima: l'intelletto non conosceva che i miei peccati e l'offesa di Dio; la memoria tutti me li ricordava, e mi faceva vedere tutti i tormenti che Gesù aveva patito per salvarmi; la volontà me li faceva tutti detestare e promettere di voler tutto soffrire per espiarli. Un mucchio di pensieri si volsero tutti alla mente: erano pensieri di dolore, di amore, di timore, di speranza e di conforto.

Al raccoglimento interno successe ben presto il rapimento dei sensi, ed io mi trovai dinanzi alla Mamma mia celeste, che avea alla sua destra l'Angelo mio Custode, che per il primo mi comandò di recitare l'atto di contrizione.

Dopo che l'ebbi terminato, la Mamma mi rivolse queste parole: «Figlia, in nome di Gesù ti siano rimessi tutti i peccati». Poi soggiunse: «Gesù mio figlio ti ama tanto e vuol farti una grazia; saprai tu rendertene degna?». La mia miseria non sapeva che rispondere. Soggiunse ancora: «Io ti sarò madre, ti mostrerai tu mia vera figlia?». Asperse il manto e con esso mi ricoprì.

In quell'istante comparve Gesù, che aveva tutte le ferite aperte; ma da quelle ferite non usciva più sangue, uscivano come fiamme di fuoco, che in un momento solo quelle fiamme vennero a toccare le mie mani e i miei piedi e il cuore. Mi sentii morire, sarei caduta in terra; ma la Mamma mi sorresse, ricoperta sempre col suo manto. Per parecchie ore mi convenne rimanere in quella posizione. Dopo, la Mamma mia mi baciò nella fronte, e tutto disparve, e mi trovai in ginocchio in terra; ma mi sentivo ancora un dolore forte alle mani, ai piedi e al cuore.

Mi alzai per mettermi sul letto, e mi accorsi che da quelle parti, dove mi sentiva (74), usciva del sangue. Mi coprii alla meglio quelle parti, e poi, aiutata dall'Angelo mio, potei montare sul letto. Quei dolori, quelle pene, anziché affliggermi, mi recavano una pace perfetta. La mattina a stento potei andare a fare la Comunione, e mi misi un paio di guanti, tanto per nascondermi la mani. Non potevo reggermi in piedi; ad ogni momento credevo di morire. Quei dolori mi durarono fino alle 3 del Venerdì, festa solenne del S. Cuore di Gesù (75).

Questa cosa per primo dovevo dirla al Confessore, ma invece più volte andai a confessarmi senza mai dirgli nulla; esso più volte me lo dimandava, ma io rispondevo sempre di no.

LE STIMATE SI RIPETONO.

Trascorsi intanto parecchio tempo, e ogni Giovedì, circa le 8 e prima, sentivo i soliti dolori; ogni volta però che mi accadeva in questo modo, sentivo prima di tutto un dolore così forte e intenso dei miei peccati, che quello mi cagionava più dolore che i dolori delle mani e dei piedi, del capo e del cuore: questo dolore dei peccati mi riduceva a uno stato di tristezza da morire. Però anche con questa grande grazia di Dio non miglioravo punto, ogni giorno commettevo peccati senza numero, disobbedienze, al Confessore non gli ero mai nulla sincera e sempre nascondevo qualche cosa (76). L'Angelo più volte mi avvisava, dicendomi che se ne sarebbe partito per non farsi più vedere, se avessi continuato in quel modo; io non obbedii ed esso se ne andò, ovvero si nascose per più tempo.

ARDENTE DESIDERIO DEL CHIOSTRO. —
CONFORTI E RIMPROVERI DI GESÙ.


In questo tempo però il desiderio di farmi monaca mi andava sempre più aumentando; lo palesavo al Confessore, che mi dava quasi sempre risposte poco consolanti; mi sfogavo con Gesù, e una mattina, [che] più che mai sentivo questo desiderio forte forte, Gesù mi disse: «O figlia, di che temi? Nascondilo nel mio cuore questo desiderio, e dal mio cuore nessuno potrà strapparlo». Gesù mi parlò così, perché era così forte questa smania di andare in convento per sempre più unirmi a Lui, che temevo che qualcuno me la potesse togliere; ma Gesù pronto mi consolò con quelle parole, che più le dimenticai.

Gesù non mancava mai di farsi sentire e vedere, specialmente quando ero afflitta. Un giorno (che noto in modo particolare) ero stata, come sempre meritavo, gridata da un mio fratello, perché uscivo per tempo per andare in Chiesa. Oltre alla contesa ebbi pure qualche piccolo colpetto, che io ben meritavo, e me ne lamentai; il mio Gesù ne rimase poco contento e mi rimproverò con certe parole, che veramente mi ferirono. «Figlia, — mi disse — concorri anche tu ad accrescere le pene del mio cuore? Ti ho esaltata al posto di mia figlia, onorata del titolo di mia serva, ed ora come ti comporti? Figlia arrogante, serva infedele. Cattiva!».

Quelle parole fecero tanta impressione sul mio cuore, che Gesù dopo quella volta aggiunse nuove croci, e sempre mi dette la forza di ringraziarlo e non più lamentarmi.

Un rimprovero più forte mi fece Gesù una volta con queste parole, che più tardi conobbi essere adatte al vero, ma per quel momento non capii. «Figlia, — mi disse — sei troppo querula nelle avversità, troppo perplessa nelle tentazioni, e troppo timida nel governo degli affetti. Io da te non voglio che amore: amore nelle avversità, amore nelle preghiere, amore negli affronti, amore in ogni cosa. E dimmi, figlia, potrai negarmi sì giusta soddisfazione e sì poca mercede?». Non ebbi parole per rispondere a Gesù: il cuore mi scoppiava per il dolore; alcune parole pronunziai che io ben ricordo: «Il mio cuore, — gli dissi — o Gesù, è pronto a far tutto, è pronto a scoppiare per il dolore, se voi lo volete. Mio Dio! e...».

LE SANTE MISSIONI IN S. MARTINO.

Già era trascorso il mese di Giugno, e verso la fine di questo erano cominciate in S. Martino le S. Missioni. Preferii sempre lasciare le dette Missioni, che non assistere alle prediche del Cuor di Gesù (77); infine queste terminarono, e cominciai ogni sera ad andare alle prediche in S. Martino (78). Qual fu la mia impressione nel vedere quei Sacerdoti predicare, non lo posso descrivere! L'impressione fu assai grande, perché riconobbi in essi l'abito col quale avevo veduto rivestito Confratel Gabriele, la prima volta che lo vidi. Un'affezione speciale mi prese per essi, [tanto] che da quel giorno non più persi una predica.

Eravamo all'ultimo giorno delle S. Missioni, tutto il popolo era riunito in Chiesa per fare la S. Comunione generale; io pure tra molti presi parte, e Gesù, che si vede gradì questa cosa, si fece sentire bene bene all'anima mia e mi dimandò: «Gemma, ti piace l'abito col quale è rivestito quel Sacerdote?» (E m'indicò un Passionista che era poco lontano da me). Non occorreva che a Gesù gli rispondessi con le parole: il cuore più che altro parlava coi suoi palpiti. «Ti piacerebbe (soggiunse Gesù) essere rivestita tu pure del medesimo abito?». «Mio Dio!» esclamai... «Sì — mi soggiunse Gesù — tu sarai una figlia della mia Passione, e una figlia prediletta. Uno di questi figli sarà il tuo padre. Va' e palesa ogni cosa...». E a quello indicato da Gesù riconobbi il P. Ignazio.

Obbedii infatti; il giorno (79) (che era l'ultimo di dette Missioni) ci andai, ma per quanto mi sforzassi, non mi riuscì parlare delle cose mie; invece di P. Ignazio, corsi da P. Gaetano, al quale palesai con forza (80) tutte le cose accadute nei tempi trascorsi e che ho già parlato. Mi ascoltò con infinita pazienza e mi promise che il Lunedì dopo le S. Missioni sarebbe tornato in Lucca ed avrebbe fatto di tutto per confessarmi. Rimanemmo in questo modo. Passò una settimana e poi potei di nuovo riconfessarmi da Lui, e durai per più volte.

In questo tempo, e per mezzo di questo Sacerdote, feci la conoscenza con una Signora (81), alla quale posi fino d'allora un amore di madre, e che ho sempre riguardata come tale.

I TRE VOTI.

L'unica ragione, per la quale andai a confessarmi da quel Sacerdote, era una sola: il Confessore ordinario più volte mi aveva proibito che non facessi i tre voti, di castità, obbedienza e povertà, perché fino che stavo nel mondo mi era impossibile osservarli; io, che avevo sempre un gran desiderio di farli, colsi quella occasione, e fu la prima cosa che gli chiesi, e subito me li fece fare dal 5 Luglio fino alla festa solenne dell'8 Settembre, e quel giorno poi rinnovarli di nuovo. Di questa cosa ne rimasi molto contenta; anzi fu per me una delle maggiori mie consolazioni.

Con gran fatica di questo Sacerdote e con mia gran vergogna palesai ogni cosa: di tutte le grazie particolari che il Signore mi aveva fatte, delle visite spesse dell'Angelo Custode, della presenza di Gesù e di alcune penitenze, che senza permesso di nessuno e solo di mia testa facevo ogni giorno. La prima proibizione fu di smettere ogni cosa; anzi esso stesso volle alcuni di quegli strumenti che mi servivo (82); infine poi questo Sacerdote mi parlò chiaro e mi disse che da se stesso non poteva ben dirigermi, e bisognava che parlasse al mio Confessore.

Io non volevo accondiscendere a questa cosa, perché prevedevo già una bella contesa, e il pericolo di essere abbandonata da Monsignore per la mia poca sincerità e fiducia in Lui; non volevo a nessun patto, e mai volli palesare il nome del Confessore, dicendo che non lo conoscevo, e non mi ricordo bene se inventai anche un nome falso (83). Ma questa trappola non andò tanto in lungo; con mia vergogna fui scoperta. P. G. [= Padre Gaetano] seppe che il mio Confessore era Monsignore, ma non poteva parlargli, se io non gli davo il permesso; infine dopo averlo fatto bene inquietare glielo detti, e si trovarono tutti e due egualmente d'accordo. Da Monsignore ebbi il permesso di andare pure a confessarmi da quel Sacerdote, e non mi gridò, come avrei ben meritato; allora parlai dei voti fatti, e Lui pure li approvò, e ai tre nominati me ne fece aggiungere un altro: "sincerità al proprio Confessore". Il Confessore allora mi comandò di essere nascosta e di non parlare a nessuno delle cose mie, solo a Lui.

VANA VISITA DEL MEDICO. —
LAMENTI E RIMPROVERI DI GESÙ.


Intanto le cose del Venerdì continuavano, e Monsignore credé bene di farmi visitare dal medico a mia insaputa, ma ne ebbi l'avviso da Gesù stesso, che mi disse: «Di' al Confessore che in presenza del medico non farò nulla di tutto ciò che desidera». Per ordine di Gesù avvisai il Confessore; ma esso fece a modo suo, e le cose andarono come Gesù le aveva descritte, e come già sa (84).

Babbo mio, da quel giorno cominciò una nuova vita per me, e qui avrei da dire tanto, ma se Gesù lo vuole, lo dirò a Lei solo (in Confessione).

Ecco la prima e la più bella umiliazione che il mio caro Gesù mi dette; nondimeno la mia gran superbia e il mio amor proprio si risentirono, e Gesù nella infinita sua carità mi continuava le sue grazie e i suoi favori. Un giorno mi disse amorevolmente (perché, babbo mio, Gesù mi rivolse queste parole, lo dirò a Lei solo, ma forse le capirà senza che io le spieghi): «Figlia, che devo dire Io, quando tu nelle tue dubbiezze, nelle tue afflizioni, nelle tue avversità, di tutti ti ricordi, meno [che] di me; a tutti ricorri per aver qualche alleviamento e qualche conforto, meno che a me?».

Babbo mio, ha capito? Giusto rimprovero di Gesù, e che capii aver meritato; ma nondimeno continuai nelle solite cose, e Gesù di nuovo mi riprese dicendomi: «Gemma, credi che non resti offeso, quando tu nei maggiori tuoi bisogni mi posponi a oggetti, i quali non possono esserti di consolazione? Soffro, figlia, — mi disse — quando ti vedo che ti dimentichi di me». Quest'ultimo rimprovero mi bastò, e mi servì per distaccarmi affatto ga ogni creatura per tutta rivolgermi verso il Creatore.

IL P. GERMANO.

Ebbi allora di nuovo proibizione dal Confessore di tutte le cose straordinarie del Venerdì e Giovedì, e Gesù per un poco obbedì, ma dopo ritornai al solito e più ancora di prima. Non ebbi più paura allora di palesargli [al Confessore] ogni cosa, ed Esso arditamente mi disse che se Gesù non gli avesse fatto vedere le cose chiare, non avrebbe creduto a simili fantasticherie. Non persi tempo, feci nello stesso giorno una preghiera speciale a Gesù in Sacramento per questo scopo, ed ecco, come spesso mi accadeva, mi sentii raccogliere internamente e ben presto [venne] il rapimento dei sensi. Mi trovai dinanzi a Gesù, ma non era solo: aveva vicino a Sé un uomo coi capelli bianchi; all'abito conobbi essere un Sacerdote Passionista; aveva le mani giunte e pregava, pregava caldamente. Lo guardai, e Gesù mi pronunziò queste parole: «Figlia, lo conosci?». Risposi di no, come era vero. «Vedi — soggiunse —: quel Sacerdote sarà il tuo Direttore, e sarà quello che conoscerà in te, misera creatura, l'opera infinita della mia misericordia».

Dopo accaduta questa cosa non ci pensai più. Un giorno per caso vidi un piccolo ritratto: era appunto quel Sacerdote, che avevo veduto davanti a Gesù; il ritratto però lo assomigliava ben poco. L'unione intima nella preghiera con Lei, babbo mio, mi cominciò d'allora, dalla prima volta che lo vidi così in sogno davanti a Gesù. Desiderai sempre d'allora in poi di averlo con me, ma per quanto lo desiderassi mi pareva conoscere che ciò fosse impossibile. Pregai, e cominciai fino d'allora a pregare più volte al giorno, e dopo più mesi Gesù mi consolò col farlo venire (85). Ora smetto di dire, perché d'allora in poi mi ha sempre conosciuta e sa tutto.

N.N. (86).
GEMMA.
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NOTE A PIÈ DI PAGINA.

1. La presente autobiografia, scritta in forma di lettera al P. Germano, è la così detta confessione generale, di cui parla più volte la Santa nelle sue lettere (Vedi lett. 45a, 46a, 55a, 71a, 73a, al P. Germano). Il termine di "confessione generale" fu usato a bello studio dal savio Direttore per indurre l'umilissima Gemma a manifestare, senza avvedersene, i tesori di grazie di cui Iddio l'aveva arricchita; perciò più che una semplice confessione dei peccati, egli voleva che scrivesse un compendio di tutta la sua vita, una breve autobiografia. Con grande difficoltà la Santa s'indusse a scrivere (cf. lett. 45a) e, com'ella stessa dice in principio, benchè volesse dapprima fare la sua "confessione generale dei peccati, senza aggiungerci altro", dovette tuttavia, stimolata dall'Angelo Custode del P. Germano (cf. lett. 46a), fare "come un compendio di tutto ciò che le era accaduto nella vita, buono e cattivo". Uniformandosi dunque pienamente al desiderio del suo Padre spirituale, la Santa non intese per nulla scrivere una vera e propria confessione generale; il che si rileva pure da quelle sue parole: «Qui avrei da dire tanto, ma se Gesù vuole, lo dirò a Lei solo (in Confessione)». Dobbiamo quindi concludere che le cose da lei narrate in questa autobiografia, non intendeva dirle sotto il sigillo della Confessione. E' vero ch'era sua volontà che il P. Germano bruciasse subito lo scritto, dopo averlo letto, ma tale raccomandazione, suggeritale dalla sua profonda umiltà, e di cui fortunatamente non si tenne conto, la ripeteva pure per le sue lettere e per tutti i suoi scritti (Vedi lett. 16a al P. Germano e lett. 13a a Mons. Volpi). Nondimeno, data l'indole dello scritto, ometteremo qualche cosa. — La nostra Santa cominciò a scrivere la sua autobiografia il 17 febbraio 1901 (cf. lett. 46a al P. Germano) e la finì verso il 15 maggio dello stesso anno (lett. della Sig.ra Cecilia al P. Germano, 18 maggio 1901), narrando in essa, con la solita semplicità e vivezza, le varie vicende della sua vita, dai primi ricordi fino all'anno 1900: 93 pagine di scrittura in un quaderno reso anche celebre per opera diabolica. Si sa infatti che, rapito dal demonio ai primi di luglio (cf. lett. 71a al P. Germano), dopo replicati esorcismi fatti dal P. Germano a Tarquinia e ad Isola del Gran Sasso, sulla tomba di S. Gabriele, fu rimesso al posto, «ma conciato per bene», come si esprime la stessa Santa (lett. 73a al P. Germano); poichè tutte le pagine scritte sono affumicate e in parte abbrustolite dal fuoco; le ultime in bianco sono invece rimaste illese. Questo prezioso documento si conserva presso la Postulazione dei Passionisti. — Le parole iniziali: "Al babbo mio che lo bruci subito", sono scritte sulla copertina del quaderno.

2. "Delle belle gridate e un bel no" da parte del Confessore e del P. Germano, che non volevano concederle il permesso di domandare a Gesù di morire.

3. Questa prima maestra di catechismo si S. Gemma era la buona Isabella Bastiani. Nel processo apostolico della Santa ci dice con quanto impegno e profitto la piccola Gemma imparasse, con qual desiderio ascoltasse i santi discorsi, con qual devozione dicesse la sue preghiere in casa e in chiesa. Ricorda in particolare di averle insegnato a far la meditazione, specialmente sulla Passione di Gesù, e a rivolgersi all'Angelo Custode per essere difesa e liberata dal demonio ("Summ. super virtut.", n. 2 & 29; n. 5, & 83-85).

4. Nel manoscritto la data non è esatta: manca il giorno ed è indicato l'anno 1888. Dal registro dei cresimati della parrocchia di S. Leonardo in Borghi di Lucca, alla quale Gemma allora apparteneva, risulta che ricevette la cresima il 26 maggio 1885, dalle mani di Sua Ecc.za Mons. Nicola Ghilardi, arcivescovo di Lucca, nella chiesa di S. Michele in Foro; le fu madrina la zia Elena Galgani. Quel giorno era il martedì dopo la Pentecoste.

5. E' la prima locuzione celeste, di cui fa parola la Santa, che allora contava 7 anni e due mesi.

6. Fu portata a S. Gennaro, presso lo zio Antonio Landi.

7. Dell'anno 1886.

8. Il fratello Gino, che aveva due anni più di Gemma e morì chierico nel 1894.

9. I fratelli Guido, Ettore, Gino, Antonio; le sorelle Angela e Giulia.

10. La Santa, come abbiamo già veduto, usa spesso l'aggettivo "infinito" nel senso di "grandissimo, indicibile".

11. Le Oblate dello Spirito Santo, dette anche Suore di S. Zita o Zitine, fondate dalla Venerabile Elena Guerra.

12. La pia maestra, che sì bene sapeva raccontare alla piccola Gemma la Passione di Gesù, era Suor Camilla Vagliensi.

13. Siccome più sopra dice la Santa che si trattenne nel convento delle Zitine quindici giorni, bisogna supporre che, terminati i dieci giorni di esercizi e fatta la prima Comunione, continuasse a dimoravi altri cinque giorni. E ciò è confermato da Mons. Volpi che scrive: «Le bambine che facevano i SS. Esercizi, solevano rimanere nell'Istituto 4 o 5 giorni dopo la 1a Comunione».

14. La Santa anche qui omette il giorno e scrive per errore "Marzo". Se infatti fece la prima Comunione la domenica 19 giugno 1887, dopo dieci giorni di esercizi spirituali, dovette entrare dalle Zitine il 9 o il 10 di giugno. Il P. Germano dice anch'egli che Gemma fece la prima Comunione la domenica seguente alla festa del Sacro Cuore di Gesù, ma per involontario errore, crediamo, mette la data del 17 giugno: quell'anno infatti, 1887, il 17 giugno era proprio il venerdì, festa del Sacro Cuore.

15. Zelante parroco di S. Leonardo in Borghi di Lucca, Don Raffaele Cianetti così parla dell'infanzia di Gemma nel processo ordinario di Lucca: «L'ho conosciuta [Gemma], perchè all'età di un anno venne nella mia parrocchia, come mi risulta dai registri parrocchiali, e vi dimorò fino all'età di circa 8 anni. Nel tempo che è stata nella mia parrocchia, frequentava spesso la mia chiesa parrocchiale colla sua mamma, che era una santa donna. Per quanto posso conoscere, era una bambina di poche parole, teneva un contegno da edificare chiunque la vedesse; il suo contegno era fra il serio e il dolce» ("Summar. super introd.", n. 1, & 9).

16. La Santa scrive: "Chi si ciba della vita di Gesù".

17. Mons. Giovanni Volpi promosso vescovo nel 1897, fu il Confessore ordinario della nostra Santa fino alla morte.

18. "Per la prima volta" quel giorno; ovvero: per riceverlo la prima volta.

19. Il lettore, abituato dalle lettere e dalle estasi di S. Gemma a sentirla sempre parlare dei suoi gravi peccati, sa bene qual peso debba dare a questo linguaggio, che va interpretato secondo il vocabolario dei Santi.

20. "E non mi fu concessa": si notino queste parole, perché sono una conferma dell'innocenza di Gemma. Se il santo e prudentissimo Confessore Mons. Volpi non giudicò opportuna una nuova confessione generale, ciò fa pensare che le gravi colpe, di cui ella più sopra si accusa, erano tali soltanto al suo occhio illuminato, e che perciò la sua nuova conversione non fu che un nuovo slancio verso la santità.

21. Le due zie Elisa ed Elena Galgani.

22. Gino era il quarto contando il primogenito Carlo, che morì a 6 anni nel 1875, tre anni prima che Gemma nascesse.

23. "Contese", ossia "rimproveri, sgridate".

24. Un errore forse di memoria: se infatti Suor Camilla Vagliensi morì nel marzo del 1888, Gemma, che cominciò a frequentare l'Istituto di S. Zita nel 1887, potè averla maestra un anno soltanto.

25. La nuova maestra era Suor Giulia Sestini.

26. Morì l'11 settembre 1894.

27. La Santa scrive 1897, ma essendo quello l'anno che precedette la morte del babbo, deve leggersi 1896.

28. Gemma scrive "ispirazioni".

29. Ossia: e nel tempo stesso sopportando con pazienza la vita.

30. Anche qui è scritto 1897.

31. "Contendermi", nel senso di "rimproverarmi, sgridarmi".

32. Si ricordi che nel linguaggio lucchese "arrabbiato" vuol dire semplicemente "inquieto, serio, malcontento, disgustato".

33. Il male, che consisteva in una carie ossea, si aggravò per esserle caduta sul piede una panca, mentre era dalle Zitine.

34. L'operazione, compiuta dai tre dottori Del Prete, Giorgi e Gianni, consistè nel togliere i residui del tumore schiacciato dalla panca e nel raschiare l'osso: operazione dolorosissima, e che la Santa sostenne con tale pazienza, da destare l'ammirazione dei presenti e degli stessi medici. Ci dice infatti la zia Elisa nei processi: «Mi disse mia sorella Elena e mio nepote Guido, che rimasero lì a vederla operare, che mai emise un lamento, nè prima, ne durante, nè dopo l'operazione. Ed uno dei medici, cioè il Sig. Gianni, disse a Gemma dopo che ebbe subita l'operazione: Brava Gemma! Hai avuto un gran coraggio! — Gemma rispose ancora al medico con un altro sorriso» ("Summar. super virtut.", n. 1, & 14). Da ciò comprende il lettore che i pianti e gli urli, di cui parla Gemma, non dovettero essere altro che qualche gemito o lacrima, che ella non potè frenare per l'acerbità del dolore.

35. Vedi avanti. Queste parole di Gemma ci richiamano alla mente quel che leggiamo nell'autobiografia di S. Margherita Maria Alacoque, con la quale la nostra Santa ebbe molti tratti di somiglianza: «Non potendo la di lui [di Dio] Santità soffrire alcuna macchia, quando egli espone ai suoi sguardi alcuna mia benchè menoma imperfezione, in cui abbia luogo un po' di deliberazione e negligenza (ed io sono sì imperfetta e miserabile, che cado in molte colpe, benchè non pienamente deliberate), è questo per me, lo confesso, un intollerabile supplizio, il dover, dico, sostenere gli occhi della divina Santità, allorché mi trovo aver commesso qualche infedeltà. Non v'è genere di supplizio, a cui non fossi più volentieri per espormi, che a quello di sostenere la presenza di questo Dio sì santo dopo aver l'anima mia contratta qualche macchia di colpa, e sarebbe per me un tormento molte volte più lieve il precipitare in un'ardente fornace» ("Vita della beata Madre Margherita M. Alacoque scritta da lei stessa". Trento 1889, pag. 115 s.).

36. La Santa scrive sempre 1897.

37. 15 "anni": curioso il modo di contare gli anni usato da Gemma! Essendo nata il 12 marzo 1878, a Natale del 1896 aveva 19 anni, benché non ancora compiuti.

38. E' scritto per errore 1898.

39. L'originale dice "furono".

40. Nel registro dei morti della Parrocchia di S. Frediano in Lucca, all'anno 1897 N. 39, si legge: «A dì 11 Novembre 1897. Galgani Enrico fu Carlo e fu Margherita Orsini, ved. di Aurelia Landi, di questa Parrocchia, munito dei SS. Sacramenti della Penitenza ed Estrema Unzione con Bened. Pontif., assistito dal sacerdote fino all'ultimo respiro, passò all'altra vita il dì suddetto alle ore 14,30, in età di anni 53. Non fu possibile amministrargli il SS. Viatico per impotenza a riceverlo. Il suo corpo, fatte le solite esequie, fu sepolto al Camposanto, associato dalla Ven. Confraternita di Misericordia come confratello».

41. Era la zia Carolina Galgani, sposata a Domenico Lencioni in Camaiore.

42. Qui pure Gemma, come al solito quando parla dei suoi peccati, calca assai le tinte. Le due deposizioni invece che leggiamo nel processo apostolico di Pisa, relative a questo periodo di tempo, l'una del cugino Luigi Bartelloni, l'altra di Alessandra Balsuani, domestica di casa Lencioni, ci mostrano Gemma tutta dedita alla preghiera, al sacrifizio e alle opere di carità. Bastino le seguenti testimonianze. Il cugino dice fra l'altro: «Non credo che [Gemma] sia caduta in colpe mortali e neppure veniali deliberate... Gemma fu sempre unita al suo Dio... Tutti i discorsi di Gemma erano rivolti a Dio; non parlava altro che di Dio e delle cose sacre» ("Summar. super virtut.", pag. 356s.). E la Balsuani: «Io non mi sono mai accorta che Gemma sia caduta in peccati mortali e neppure in veniali deliberati; amava Iddio in una maniera straordinaria, come possono amarlo gli Angeli. Gemma non si occupava di altro che di essere e stare unita sempre alla divina volontà» ("Ibid.", pag. 348s.). «Gemma fu pura come un Angelo» ("Ibid.", pag. 634). Anche la cugina Rosa Bartelloni, compagna indivisibile di Gemma alla chiesa e al negozio dello zio Lencioni, nella deposizione del fratello Luigi appare una giovane piissima. E' vero per altro che la Santa, occupata tutto il giorno in una bottega di chincaglierie e mercerie a sevire il pubblico, non doveva trovarsi in un ambiente adatto alle sue aspirazioni. La malattia sopraggiunta le porse un buon pretesto per domandare agli zii di ritornarsene a Lucca, ma il vero motivo , che a ciò l'indusse, va cercato in un altro fatto. Due giovani di Camaiore ambivano la sua mano: erano un certo Romeo Dalle Lucche, giovane di farmacia, e Girolamo Bertozzi, figlio del medico. Il Bertozzi si recò insieme col padre dallo zio Lencioni a domandarla in isposa: e Gemma, che non voleva altro sposo che Gesù, per troncare ogni occasione, preferì di tornarsene alla sua povera casa. Ce lo dice chiaramente la zia Elisa: «Gemma, appena ebbe sentore di ciò, subito fuggì da Camaiore e venne tra noi a Lucca. Io, sorpresa, meravigliata e dispiacente, le domandai: Oh! perché, Gemma, sei tornata? Forse non ti volevano bene? — Alla prima domanda Gemma non rispose; ed alla seconda soggiunse: sì che mi volevano bene e ci stavo bene, ma sa, c'era uno che mi avrebbe voluto; ma io marito non lo voglio; io voglio essere tutta di Gesù» ("Summar. super virtut.", n. 3, & 50. Cf. "ibid." & 83).

43. La Santa scrive accesso; così pure nella riga seguente.

44. Come si vede è scritto due volte "più che ho potuto". Sarà una svista, ma la ripetizione sembra avere una particolare efficacia.

45. La Santa scrive sempre "esterismo".

46. Sempre severa la nostra Santa nel giudicare se stessa. Ben diverso però era il giudizio degli altri. La sua antica maestra Suor Giulia Sestini, che molte volte si recò a visitarla, ci dice: «Era molto sofferente, ma rassegnata e tranquilla. [...]. Non ricordo che mai si lamentasse dell'assistenza delle zie o del male, ed invece ho inteso sue parole di rassegnazione alla volontà di Dio e di desiderio di cielo» ("Summar. super virtut.", n. 11, & 1). La suora infermiera che spesso l'assisteva, Suor Maria Angela Ghiselli, delle Barbantini, ripete: «In tanto tempo in cui l'ebbi ad assistere, non ho mai inteso da lei una parola di lamento, né parola impaziente. Quelle malattie sono penose, penose davvero, ma da lei non ho sentito mai una lagnanza. Come si metteva, stava, come un "ciocco". Io allora non ho mai veduto nulla di straordinario in lei, di apparizioni od altro: io ho veduto di straordinario la sua pazienza edificante» (Ibid., & 7). E la zia Elisa: «Chiamato il dott. Del Prete, sebbene Gemma si dimostrasse anche questa volta contraria a farsi visitare, dopo un coscienzioso esame dell'ammalata, disse: Bisognerà darle il fuoco a questa figliuola. — E Gemma sorridendo disse: Me lo dà Lei, Dottore? — Ed infatti vennero i dottori Del Prete e Pfanner ed applicarono alle reni due bottoni di fuoco, essendo presente la mia sorella Elena; poichè io non ebbi la forza di presenziare. Gemma soffrì moltissimo, ma disse mia sorella che mai uscì di bocca sua una parola di lamento. Il dottor Pfanner stesso parlando dell'operazione fatta a Gemma disse alla mia sorella Elena: Se ne stette buona buona, indifferente, all'atto chirurgico» (Ibid., & 16).

47. In che modo, ossia "perchè mai, per qual motivo". Non era un atto d'impazienza, come farebbe credere Gemma, ma uno sfogo amoroso col suo Gesù, per il desiderio che aveva di andare in chiesa e di non esser di peso agli altri. Lo dice lei stessa poco dopo.

48. Le portava S. Comunione uno dei cappellani della sua parrocchia di S. Frediano, il sacerdote Andrea Bartoloni Saint-Omer, cugino di Mons. Volpi. Ha deposto nei processi, ove dice che le portò la S. Comunione nei quindici sabati della Madonna di Pompei ed altre volte ancora. che il giorno in cui poteva comunicarsi, «per lei era giorno di festa»; che la sentiva parlare «con entusiasmo della devozione al Sacro Cuore», e che gli «domandava con molto interesse del santuario di Paray-le-Monial e del culto che la Beata [Margherita] vi aveva e della divizione che vi si praticava» ("Summ. super introd.", n. 3, & 130; "Summ. super virtut.", n. 2, & 3).

49. S. Gabriele dell'Addolorata, chierico Passionista, allora Venerabile. La Santa lo chiama spesso Confratel Gabriele. Ne ebbe la vita dalle Sig.ra Martinucci, a cui l'aveva prestata la Sig.ra Cecilia Giannini ("Summar. super virtut.", n. 2, & 6).

50. La Santa scrive: "Prima l'anima che del corpo".

51. "Anche" nel senso di ancora.

52. Suor Giulia Sestini, dell'Istituto di S. Zita. Ne parla ella stessa nel processo ("Summar. super virtut.", n. 17, & 1).

53. "Prima di uscire da capo al mio letto", ossia: prima di allontanarsi dal mio capezzale.

54. Il personaggio celeste che appariva a S. Gemma, era il suo caro protettore S. Gabriele dell'Addolorata. Così infatti depone la predetta Suor Giulia Sestini (l. c.): «La Novena cominciò il giovedì ["leggi mercoledì"]; io fui a trovarla [Gemma] la domenica appresso. Mi disse: «Vuol sapere con chi faccio la Novena?». Io le risposi: Con le zie? con le sorelle? — ed essa rispondeva sempre con un sorriso: «No, no», e finalmente soggiunse: «Col Ven. Gabriellino che viene ad aiutarmi a dire i "Pater"». — Per una felice coincidenza, S. Gabriele dell'Addolorata e S. Margherita Maria Alacoque furono insieme canonizzati da Benedetto XV il 13 maggio 1920. Quell'anno stesso, il 28 aprile, fu pure introdotta la causa di beatificazione di S. Gemma Galgani.

55. La Santa, che sopra ha appena accennato ad un tumore nel capo, nulla qui dice dell'altra grave malattia manifestatasi in quegli ultimi giorni, un'otite purulenta sinistra, di cui fu operata alla vigilia della guarigione. Ce la fa conoscere, nei minimi particolari, lo stesso specialista, prof. Iacopo Tommasi, il quale il giorno dopo, con grande meraviglia, trovò Gemma guarita. Egli dice che pregato dal dott. Carlo Gianni si recò a visitarla verso le 4 e mezzo pomeridiane, racconta l'accurato esame che fece dell'orecchio e così prosegue: «Fatti dei lavaggi per asportare il pus ed asciugato con batuffoli di cotone, constatai dal lato anatomopatologico la perforazione della membrana timpanica con arrossamento di questa. Allora io dissi: «Facciamo l'operazione di sbrigliamento per allargare il foro. onde si abbia più facile lo scolo del pus». E feci l'operazione, quindi asciugai di nuovo con batuffoli di cotone; feci il politz e medicai con striscioline di garza e cotone. L'ammalata non disse mai niente, non parlò mai; poteva muovere il capo, ma non tentò mai né di sottrarsi nè si mosse in nessun modo, neppure istintivamente; tanto che mi pareva di operare sopra di un cadavere. Eppure doveva aver sofferto molto. Io le domandai: «Hai sofferto?». Rispose leggermente sorridendo e muovendo leggermente il capo, quasi a dire: no, od una cosa da nulla. E ricordo bene che non avevo fatto uso neppure della cocaina in forte soluzione per anestesia locale. Aveva un lieve movimento febbrile, credo 37. 3 o 37. 4, e ritengo certo proveniente dall'otite media purulenta acuta con partecipazione della mastoide. Fatto questo, me ne andai e ritornai all'indomani mattina alle 11. Entrai nella stanza, domandai: «Come va?». E lei rispose subito: «Sono guarita». Io scrollai le spalle e preparai tutte le mie cose per la medicazione; ma quando estrassi la garza e la trovai completamente asciutta, rimasi molto meravigliato e fui costretto a dire: «Sì, è veramente guarita!». [...]. Quanto alla sua guarigione rapida dall'otite purulenta sopraddetta, in tutta la mia lunghissima carriera e per quanto ho potuto verificare e nei libri di testo italiani ed esteri, ed anche nella mia pratica delle cliniche di Berlino e di Vienna, dove questi casi sono numerosissimi, io non ho mai trovato un caso simile di una guarigione che si potè constatare completa soltanto 19 ore dopo la sua insorgenza» ("Proc. apostol.", fol. 934-935. Cf. "Summar. super virtut.", n. 3, & 110). Era il 3 marzo primo venerdì del messe. Dell'avvenuta guarigione la Santa, in segno di riconoscenza, scrisse il 9 marzo una lunga relazione, che riportiamo fra gli "scritti vari". Reca pertanto meraviglia leggere la seguente testimonianza del medico curante dott. Lorenzo Del Prete: «Io ritengo che il decorso della malattia [la spinite o morbo di Pott fino alla guarigione sia stato naturale, per quanto non sia frequente in questi mali; in ultimo vi fu una maggior rapidità per quel che è il ritorno delle funzioni degli arti, ma secondo me, sempre nei limiti di un decorso naturale. Io e Pfanner si ritenne che fosse proprio effetto della medicina, delle iniezioni di iodoformio, che allora era ancora un medicinale recente anche per la forma di applicazione» ("Proc. apostol.", fol. 890). Non sarà inutile notare che alle iniezioni di iodoformio oggi dai medici non si attribuisce più l'efficacia di allora.

56. "Disperarsi" nel senso di "sgomentarsi", secondo il parlare lucchese.

57. "Le monache Salesiane", ossia della Visitazione.

58. Vedi "Appunti di diario" fra gli Scritti vari, alla fine del present volume.

59. "Fino" nel senso di "perfino".

60. "L'Ora Santa", ossia un'ora di orazione la sera del giovedì, in compagnia di Gesù agonizzante nell'orto. La suggerì a Gemma, pochi giorno prima della guarigione, la sua antica maestra Suor Giulia Sestini, che lo depone nei processi: «Io le portai il manuale intitolato "Preghiamo" della nostra Fondatrice [Suor Elena Guerra], dove c'e l'Ora Santa e dissi alla Gemma che avesse fatta la promessa di farla quest'Ora ogni primo giovedì del mese» ("Summar. super virtut.", n. 17, & 1). Gemma invece promise di farla ogni giovedì, e cominciò proprio il giovedì innanzi alla sua guarigione. «All'indomani, venerdì — così prosegue Suor Giulia — [.....], dopo le quattro pomeridiane andai: Gemma si era alzata, mi dissero le zie; l'avevano però, per riguardo, fatta rimettere a letto; si alzò a sedere sul letto e mi abbracciò dicendo: «Gesù ha fatto la grazia!» Poi a bassa voce mi confidò che aveva fatto promessa di fare l'Ora Santa tutti i giovedì e che l'aveva fatta già la sera precedente, nella quale mi disse che Gesù le aveva fatto sentire qualche commozione al cuore» ("Ibid.", & 3. — Cf. "Relazione sulla guarigione").

61. Nota qui il P. Germano: «E' questa la differenza, al dire dei teologi, che passa tra le apparizioni celesti e le diaboliche, che le prime incutono timore, al quale poi presto succede una gioconda tranquillità; laddove le altre cagionano dapprima (certo per maggiormente nuocere) una falsa sicurezza, a cui dopo tien dietro un gran turbamento di spirito e vero spavento. Ed a questo segno è facile distinguere le une dalle altre» ("Vita", pag. 86).

62. Non dalle mani del sacerdote, come dice la Santa poco dopo; in qual modo però ciò avvenisse, non lo spiega: dovette Gesù comunicarla in maniera prodigiosa, come fece altre volte (Vedi "Vita", pag. 396). Il P. Germano nei suoi appunti manoscritti, parlando della Comunione di Gemma per mano angelica, dice pure: «Tre volte soltanto fu avvertita questa cosa, ma è a credere che più volte le accadesse».

63. "Con forza", cioè con sforzo, facendosi violenza.

64. Si noti la grande ripugnaza di Gemma a manifestare i doni di Dio: segno chiaro di profonda umiltà.

65. La Santa scrive: "Si avvicinavamo".

66. "Esercizi proprio nascosti", ossia fatti in privato, appartandosi dalla comunità.

67. La Superiora era la Madre Marianna Giuseppina Vallini e la maestra delle novizie Suor Maria Giuseppa Guerra, ambedue lucchesi.

68. Insieme con le monache, la Santa recitava in coro l'ora canonica di Prima, più tardi Terza e Sesta, e dopo la Messa conventuale Nona.

69. "Troppo" facile o comoda, come si rileva da quel che segue.

70. Mons. Nicola Ghilardi, arcivescovo di Lucca, del quale Mons. Volpi era allora ausiliare.

71. "Contesa", cioè "rimprovero, sgridata".

72. Giovedì 8 giugno 1899, ottava del Corpus Domini e vigilia della festa del Sacro Cuore di Gesù.

73. Quanto più grandi sono i favori che Iddio fa ad un'anima, tanto maggiore è la cognizione che le dà della propria indegnità e miseria. E' questo uno dei segni per distinguere i veri doni celesti dalle contraffazioni diaboliche, come Gesù stesso si compiacque rivelare a S. Margherita M. Alacoque: «Mi disse — così ella scrive — che dopo ricevute alcune di queste divine comunicazioni, di cui tanto indegna è l'anima, sentirò immerso in un abisso di annientamento e di confusione il mio spirito, onde tanto penoso sarà il dolor mio di fronte alla mia indegnità, quanto soave sarà stato il conforto recatomi dalla segnalata liberalità del mio Salvatore, affogando così ogni umana mia compiacenza ed ogni sentimento della mia propria stima» ("Vita della beata Madre Margherita Maria Alacoque, scritta da lei stessa", Trento 1889, pag. 280).

74. "Mi sentiva", espressione lucchese che significa: "mi doleva".

75. Il prodigio delle stimmate avvene in Via del Biscione n. 13, 1º piano, dove allora Gemma abitava con la famiglia. La via è oggi chiamata "Via S. Gemma Galgani". Ne prendiamo occasione per ricordare le varie case, ove la Santa abitò in Lucca; lo troviamo registrato nel processo apostolico, in un documento scritto dal fratello Guido in data 9 gennaio 1909: «Le case abitate in Lucca furono le seguenti: 1) il piano 2º della casa N. 17, posta in Via dei Borghi, proprietà Lupi; 2) il piano 2º della casa N. 44, posta in Via dei Borghi, proprietà Casentini; 3) tutta la casa N. 68, posta in Via dei Borghi, proprietà Galgani; 4) il piano 3º della casa N. 5, posta in Via degli Angeli, proprietà Ospedale; 5) piano 1º della casa N. 10, posta in Via San Giorgio, proprietà conte Sardini; 6) piano 3º della casa N. 6, posta in Via Strenghi, proprietà Bianchi; 7) 1º piano della casa N. 13, posta in Via del Biscione, poprietà (?)» ("Proc. apost.", fol. 981-982). Negli ultimi anni poi fu ospitata in casa del Sig. Matteo Giannini.

76. La Santa, giova ripeterlo, si accusa di non essere stata sincera nel manifestare al Confessore i doni di Dio, non già i suoi peccati, che tanto volentieri racconta e ingrandisce.

77. Nella chiesa della Visitazione.

78. Le sante Missioni si tennero nella chiesa metropolitana di S. Martino, dal 25 di giugno al 9 luglio 1899, e furono predicate dai PP. Passionisti Gaetano, Adalberto, Callisto ed Ignazio. Benedette da Dio, riuscirono di gran frutto.

79. "Il giorno", ossia nel pomeriggio, secondo il linguaggio comune.

80. "Con forza", anche qui significa: con sforzo, facendosi violenza.

81. La Sig.ra Cecilia Giannini.

82. Tra gli appunti manoscritti del P. Germano, troviamo così notato circa le penitenze usate da Gemma: «Andava scalza, cioè senza calze durante l'inverno. Portava il cilizio, finchè non le fu proibito. Il P. Gaetano le tolse una corda tutta irta di bollette, che essa stessa si era composta. Io le tolsi altra corda con nodi ed una disciplina di ferro».

83. Non volendo manifestare il nome del Confessore, la Santa disse che non lo conosceva, usando una restrizione mentale facile ad intendersi ("late dicta", come dicono i teologi), e perciò lecita. Quanto alla bugia, nell'inventare un nome falso, la Santa dice: "non mi ricordo bene"; perciò noi, conoscendo il suo stile, di moltiplicare ed ingrandire le sue colpe, possiamo ritenere che la bugia non la dicesse.

84. Vedi la nota all'estasi 2a e la lett. 5a al Confessore.

85. Il P. Germano, a cui Gemma scrisse la prima lettera il 29 gennaio 1900, si recò a Lucca ai primi di settembre dello stesso anno.

86. Che cosa volesse significare la Santa con queste due lettere, scritte in maniera alquanto oscura, non sappiamo. Forse dovevano tener luogo della firma, ma poi vi aggiunse anche questa.

NB: Numero di pagina in note a piè di pagina riferimenti sezione sono in riferimento al libro: "Estasi-Diario-Autobiografia-Scritti Vari di S. Gemma Galgani".
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The Autobiography of St Gemma is availible in English here:
http://www.stgemmagalgani.com/2008/11/autobiography-of-saint-gemma-galgani.html

L'autobiografia di Santa Gemma possono essere ottenute presso la Suore Passioniste al Monastero-Santuario di Santa Gemma Galgani
Il loro indirizzo postale è il seguente:

Monastero-Santuario di Santa Gemma Galgani
Fuori Porta Elisa
Lucca, Italy 55100
Telefono: 0583 91724

6 comments:

Anonymous said...

I'm fluent in French but can we have it translated into English?

Gary said...

Hi Anonymous. It's already up in English. But if you know where I can get hold of a French version, please let Glenn know? Then he can contact me, and I will do a French version.

Glenn Dallaire said...

Hi Anonymous,
The Autobiography of St Gemma in English is located here:

Autobiography of St Gemma Galgani in English

Glenn Dallaire

Mary said...

Hey, alright! A French version! Whohoo!

Anonymous said...

Hi Fran. If all goes well, then Spanish and French translations of The Autobiography should be available to read on this website in February and March.

Unknown said...

Portuguese translation, please.

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